il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2024
Consulta, Meloni in chat FdI: “Mollerò per pochi infami”
Quella chat uscita sui siti in cui venivano convocati i parlamentari di Fratelli d’Italia per martedì per eleggere il nuovo giudice della Corta Costituzionale proprio non le è andata giù. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni non sopporta che i panni del partito vengano lavati in piazza, tanto più se si rischia di bruciare un candidato alla Consulta dopo mesi di stallo e votazioni a vuoto. Così, poche ore dopo, la premier si sfoga con i suoi parlamentari: “Io alla fine mollerò per questo”. E, ancora, rivolgendosi alle talpe nel partito: “L’infamia di pochi alla fine mi costringe a non avere più rapporti con i gruppi”. Bum.
Tutto inizia di buon mattino. Alle 11.30 i capigruppo di Camera e Senato Tommaso Foti e Lucio Malan scrivono nelle chat dei parlamentari di Fratelli d’Italia un messaggio semplice e inequivocabile: “Attenzione, martedì 8 ottobre, ore 12.30, indispensabile la presenza di tutti al voto per la Corte costituzionale. Eventuali missioni vanno rimandate o annullate”. Negli stessi minuti fanno lo stesso i capigruppo di Lega e Forza Italia nelle rispettive chat dei gruppi. Tutti si preoccupano che la maggioranza sia al completo. Dopo sette votazioni a vuoto per la Consulta, l’ottava sarà quella buona: l’accordo in maggioranza sul nome – uno tra il consigliere giuridico della premier Francesco Saverio Marini e il segretario generale di Palazzo Chigi Carlo Deodato – è stato trovato.
Peccato che pochi minuti dopo sui siti esca il messaggio di FdI. Meloni va su tutte le furie, teme che i nomi in lizza vengano bruciati. E comunque non sopporta l’idea che i messaggi privati diventino pubblici. Così alle 16.17 la premier scrive nelle chat dei parlamentari un messaggio molto duro che Il Fatto è in grado di rivelare: “Io alla fine mollerò per questo –dice arrivando a minacciare le dimissioni – Perché fare ’sta vita per far eleggere ’sta gente anche no”. Meloni si riferisce alla “talpa” che avrebbe fatto uscire il messaggio sui giornali. Aggiunge: “E l’infamia di pochi alla fine mi costringe a non avere più rapporti con i gruppi. Molto sconfortante davvero”.
A quel punto intervengono altri esponenti di governo per sostenere la premier. La sottosegretaria all’Interno Wanda Ferro scrive: “Immagino come ti senti”. La collega dell’Istruzione Paola Frassinetti: “Resto senza parole e con tanta rabbia e delusione”. A dare manforte alla premier è anche il ministro della Difesa Guido Crosetto che ci va giù pesante con la “talpa”: “Be’, però penso che lavorandoci un po’ gli o l’infame si trova”. Replica Meloni: “Questo è ovvio – dice intimidatoria – pensi che non lo sappia già? Ma non cambia la natura delle cose”. Il deputato Salvatore Deidda le consiglia di “non mollare”: “Io spero che chi sia stato faccia ammenda e capisca che ci sta danneggiando continuamente”. La presidente del Consiglio risponde ancora più dura: “Ma quale ammenda, c’è gente che per una citazione sul giornale si vende la madre. Solo non capisco come facciano a stare con noi che siamo sempre stati tutt’altro. Detto questo mi taccio prima che esce qualcosa pure da qui”.
A quel punto la conversazione, che Il Fatto ha letto, diventa scherzosa ma non meno interessante. Interviene il viceministro ai Trasporti Galeazzo Bignami: “Ma quindi non posso mandare i messaggi di questa chat? Mannaggia. Avevo già pronta la foto di ricompensa…”, ironizza. I toni diventano scherzosi arrivando a prendere in giro il vicepremier Matteo Salvini per i disservizi dei treni. “Comunque – scrive Deidda, presidente della commissione Trasporti – hai notato che con me e Galeazzo come funzionano i trasporti? Impeccabili”. Meloni inizialmente non capisce l’ironia, poi scherza: “Ah sì, il blocco della linea. Ma sono molto soddisfatta invece. Pensavo saremmo tornati al dorso di mulo e invece ci sono ancora i treni dopo due anni”. Non proprio un complimento nei confronti di Salvini e della sua gestione dei trasporti. Pioggia di “mi piace”. Interviene il deputato Marco Osnato: “Tutto per non far dire che con noi i ‘i treni arrivano in orario’! Bravi, strategia geniale…”.
Una strigliata arrivata solo per la fuga di notizie sui giudici della Corte. Si voterà martedì alle 12.30 e i due nomi in lizza sollevano entrambi qualche perplessità: Marini è consigliere giuridico della premier nonché “padrino” della riforma costituzionale del premierato e passerebbe a giudicare leggi che ha contribuito a scrivere; conflitto simile che avrebbe Deodato, dalle cui mani oggi, in qualità di segretario generale di Palazzo Chigi, finiscono tutti i provvedimenti del governo. Per eleggerne uno la maggioranza ha bisogno dei tre quinti dell’Assemblea, pari a 363 voti. Ad oggi ne dispone di 355 e con i 5 “nuovi” centristi – tra cui Mara Carfagna e Mariastella Gelmini – si arriverebbe a 360. Ne serviranno altri tre.