Il Messaggero, 5 ottobre 2024
La radio italiana compie 100 anni
Polemiche, scontri, rotture e ricuciture, sul fronte autoreferenziale e insomma: uffa? Sì, perfino agli addetti ai lavori (e ai livori) e a chi per dovere o per spasso (sempre meno spasso) si occupa quotidianamente della Rai, il tema o meglio la sua trattazione in modalità “bla bla” sta venendo a noia. Ma per fortuna, in questo weekend, c’è una scappatoia, un’occasione per il pubblico e per tutti quanti per immergersi dentro le vicende del servizio pubblico nel senso giusto. Che è quello della conoscenza di che cosa è stata la radiotelevisione lungo i 100 anni della sua vita (prima si chiamava Uri, poi Eiar e poi Rai: nel 1924 cominciò la radio e nel 1954 la tivvù), di che cosa è adesso e di che cosa sta diventando in direzione del prossimo futuro.Sono state continuamente considerate morte sia la radio sia la televisione negli ultimi decenni, e invece eccole qui resilienti a ogni cambiamento, più vive che mai su ogni supporto possibile e immaginabile, diventate social, virali, digitali. E ora vogliose di celebrare la propria classicità e la nuova giovinezza – oltre 230mila ore di trasmissione all’anno – nell’evento “Rai 70/100” in scena al palazzo dei Congressi all’Eur. Conduce oggi Francesca Fialdini e domani (con diretta tivvù) il Carlo Conti, più Renzo Arbore che già mercoledì è stato ospite in Senato per l’anniversario della Rai (venerdì prossimo la festa sarà alla Camera dei deputati), Claudio Baglioni, Massimo Ranieri, Mara Venier, i Pooh, Ficarra e Picone e tanti altri. Musiche dell’Orchestra sinfonica della Rai, i medley delle sigle dei programmi che hanno fatto la storia (da Rischiatutto a Novantesimo minuto, ma forse la più indimenticabile di tutte è quella di Carosello), un omaggio a Raffaella Carrà e a Topo Gigio, la presentazione del francobollo e della moneta per i 70/100, il tributo a Mike, due volumi editi da Rai Libri: Cent’anni di compagnia di Savino Zaba (dedicato alla radio) e Tanti auguri di Marco Carrara con centinaia di foto sulla Rai. Questa kermesse sarà l’esordio pubblico di Giampaolo Rossi come nuovo ad. E sarà l’occasione per vedere quello che il nuovo dg, ed ex ad, Roberto Sergio ha organizzato per questo anniversario e quello che lui e tutta la governance di Viale Mazzini hanno fatto e cercheranno ancora di fare per rendere la Rai una digital media company sempre più competitiva sul mercato italiano e internazionale. Intanto, ecco la proiezione del docu-film di Pupi Avati. Titolo: Nato il 6 ottobre. Ovvero, la storia di un bambino che vede la luce lo stesso giorno e alla stessa ora, alle 21, della prima trasmissione della radio italiana.Il 6 ottobre del 1924, prese il via la programmazione da un modesto appartamento al rione Prati in via Maria Cristina. La stanza aveva le pareti e il soffitto coperti da pesanti tende per attutire i rumori e alle nove di sera Ines Viviani Donarelli lesse il primo annuncio con queste parole: «A tutti coloro che sono in ascolto il nostro saluto e il nostro buonasera». Il bambino nato in quel giorno cresce e lui e la sua famiglia, come è accaduto a noi tutti, si fanno accompagnare lungo la storia personale e collettiva da quella che sarà la Rai e che ha profondamente contribuito a insegnare all’intero Paese a parlare l’italiano e a unirsi in questa lingua comune. La Rai ha fatto (e fa) cultura. Ha dato (e dà) emozioni. Chi non s’è commosso al racconto per immagini dei terremoti del Belice e dell’Irpinia, o alla tragedia di Vermicino dove morì, dopo una diretta televisiva, il piccolo Alfredo Rampi? Chi non s’è indignato davanti alle scene dell’attentato alle Twin Towers o delle tante guerre comprese quelle in corso? E chi non ha riso, e guardandoli e riguardandoli o ascoltandoli a loop su ogni piattaforma non fa che confermarsi nelle proprie emozioni, con Alto gradimento o con l’Altra domenica? E la radio dev’essere sopravvissuta a tanti concorrenti perché è intima, ti segue, s’infila ovunque in auto, nei telefonini, nella televisione – ed è leggera come un vento e simpatica perché cambia continuamente faccia e pelle. Questa anziana signora che non invecchia mai è la protagonista del film di Avati. Chi lo ha visto dice che è un film anti-fascista. Pur non essendo Avati un regista di sinistra. Viene allora da chiedersi: come mai la Rai, alias TeleMeloni, affida a un film così il racconto della propria storia? Forse lo fa perché il servizio pubblico, anche adesso che a governare è la destra, non crede affatto di coincidere con la caricatura destrorsa che le viene fatta. Crede viceversa di identificarsi nella scultura, verrà svelata domani sera, che farà compagnia all’ingresso dell’edificio di Viale Mazzini al famoso Cavallo morente. La new entry è stata realizzata da Guido Iannuzzi, che è sia un dipendente della Rai, un tecnico per la precisione, sia un artista quotato. “Unum/Omnia”, così s’intitola l’opera, è composta da due parti. In una c’è un cubo scuro, simbolo dell’oscurantismo, del pensiero unico, della pretesa di dare una sola chiave di lettura a quello che accade. Nell’altra parte, c’è un fitto agglomerato di fili d’acciaio inox lucido, che trasmette l’idea della varietà di opinioni e del pluralismo di cui la Rai si sente incarnazione. E del resto il mondo dell’informazione globalizzata e tecnologizzata è naturalmente pluralistico e soltanto l’egemonia della libertà, altro che destra e sinistra, può essere il codice aperto di un broadcaster e di un’azienda, come quella di cui stiamo parlando, che vuole stare nella contemporaneità. Dove non vincerà mai l’unum ma sempre l’omnia.