Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  ottobre 05 Sabato calendario

Biografia di Seydou Sarr

La vita sognata di Seydou Sarr, 19 anni, anzi, «tra poco 20», come tiene a precisare (domani festeggia il compleanno), è un capolavoro di semplicità: «In un anno – racconta – sono cambiate tante cose, l’esperienza di Io Capitano mi ha fatto crescere. In Africa vivere non è per niente facile, vorrei che la gente capisse cosa vogliamo: avere la possibilità di muoverci, di conoscere, di scoprire il mondo, come fate voi». L’avventura è iniziata quando Matteo Garrone, dopo aver visto il suo provino, è arrivato a Dakar, ha voluto incontrarlo e ha deciso che il protagonista del film sarebbe stato lui. Per una volta un viaggio a lieto fine, pieno di speranze e di consapevolezze. Dalla città natale di Thiés, a 70 chilometri da Dakar, a Fregene, frazione del Comune di Fiumicino, 30 chilometri da Roma, dove Sarr vive ospite della madre del regista, l’ex-attrice Donatella Rimoldi. La prima cosa che chiede, senza aspettare le domande, è quanto dura l’intervista. Ci pensa un po’, poi si convince: «Vabbè, possiamo farla».Prima di girare il film, che cosa sapevi degli sbarchi, delle traversate in mare, dei morti
«In Senegal avevo sentito parlare della gente che prendeva le barche e perdeva la vita. Poi, per recitare nel film, ho incontrato tante persone che erano arrivate in Italia facendo quel viaggio. Quando mi hanno raccontato le loro storie ho capito che avevo avuto una grande fortuna e che dovevo fare il film per dare voce a loro, per far sapere quello che avevano vissuto».
Prima di essere scelto da Matteo Garrone che cosa facevi?
«Mio padre è morto un anno prima che incontrassi Matteo. La mia vita era diventata difficile, andavo a scuola e poi facevo il muratore con mio zio. Quando in casa non c’erano soldi per mangiare, lo accompagnavo e ho imparato. Poi l’ho fatto nel film, mi è venuto naturale».
Che cosa, invece, è stato complicato fare?
«Tutto. Era la prima volta, le riprese sono andate avanti per tre mesi, la parte più pesante, un vero incubo, è il periodo in cui giravamo in Marocco. Noi siamo musulmani, facevo il ramadan, e c’era un caldo tremendo. C’è stato un momento in cui avevo deciso di mollare tutto. Mi ha aiutato mia mamma, che era lì con me, e mi ha dato la forza di continuare».
Sei diventato un attore famoso, protagonista di un film candidato all’Oscar, però il tuo vero sogno è un altro. È vero?
«Si, voglio recitare, lo facevano anche mia mamma e mia sorella, a teatro. Io, invece non l’avevo mai fatto. Però sogno anche di fare il calciatore: mio padre giocava in Senegal, io adesso sono nella Nazionale Attori Italiani. Ho girato il documentario di Simone Aleandri Il sogno non ha colore, è un titolo che dice tutto, mi ci ritrovo».
Che cosa ti piace dell’Italia?
«Tutto. Se avrò la possibilità, prenderò una casa mia e vivrò qui. Ci volevo venire da sempre, ho un amico che vive a Bergamo, i suoi genitori sono senegalesi, ma lui è nato qui. Prima che arrivassi anche io in Italia ci sentivamo al telefono e lui mi mandava le foto, era tutto bellissimo».
Com’è la tua vita a casa della mamma di Matteo?
«Sono contento, quando non mi alleno sono lì, c’è anche Moustapha, l’altro interprete del film, facciamo grandi chiacchierate, lei si è molto affezionata e pure noi. Quando ha bisogno le diamo sempre una mano».
Quali sono le altre persone a cui vuoi bene, qui in Italia?
«Paolo Del Brocco, di Rai Cinema, per me è stato come un padre. L’anno scorso siamo stati in giro per il mondo per mesi e mesi, fino agli Oscar. Stavamo sempre insieme. È la prima persona che mi ha portato allo stadio, a vedere una partita della Roma».
Che effetto ti ha fatto?
«Mamma mia, che cosa fantastica, sono stato troppo contento».
E a un concerto sei mai stato?
«Non ancora. Però ci devo andare, mi piacerebbe».
E a ballare ci vai?«Certo. Ogni sabato».
Quale musica ti piace?
«Mi piace molto Ghali, lo sento sempre. E poi anche altri».
Ti sei fidanzato?«No, no, non ancora» (ride)
Cosa fai di più quando hai in mano il cellulare?
«Guardo i film, le serie meno, troppo lunghe. E poi parlo con gli amici. Oppure con mia madre. Sento spesso la nostalgia, allora la chiamo e quando posso torno in Senegal a trovarla».
Hai fatto servizi fotografici, ti piace?
«Si, adesso ho un publicist, ogni tanto mi chiama e mi dice che devo fare qualcosa».
Secondo te il nostro è un Paese razzista?
«Io sono stato fortunato, ma, quando vado sui social, vedo che c’è un sacco di gente che soffre, che ha vissuto atti di discriminazione, e questo mi fa male. A me è capitato una sola volta».
Cosa è successo?
«Neanche mi va di raccontarlo, è stato un gesto razzista, ero con un amico. Prima che venissi in Italia «Neanche mi va di raccontarlo, è stato un gesto razzista, ero con un amico. Prima che venissi in Italia mia mamma mi aveva spiegato che c’era gente del genere e che, per via del razzismo, era tutto un po’ complicato. Mi disse: “Quando una persona ti insulta tu vai avanti, senza rispondere”. Io non ero tanto d’accordo, secondo me se uno non risponde le cose non cambiano mai. Però siccome mia mamma mi aveva detto di fare così…».
Cosa fa adesso tua madre?
«È in Senegal con una delle mie sorelle. Ne ho tre, una abita a Napoli con suo marito. Ora mia madre non può lavorare perché ha avuto un problema agli occhi, l’ho portata qui per farle fare l’operazione, ma il problema non si è risolto».
Pochi giorni fa, a Lampedusa, sono state ricordate le 368 vittime del naufragio del 3 ottobre 2013. Che effetto ti hanno fatto quelle immagini?
«Non guardo i telegiornali. Ma so che noi vogliamo solo essere liberi».