La Stampa, 5 ottobre 2024
Senato aperto a cani e gatti, tuteliamoli dai politici
Come gli orologi rotti, che almeno una volta al giorno segnano l’ora esatta, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, forse per la prima volta da quando lo è diventato ne ha detta finalmente una giusta. Parlando a Brucoli, frazione di Augusta, provincia di Siracusa, ha annunciato «con la dovuta preoccupazione» che è «giunto il momento di autorizzare i senatori a portare i propri animali domestici dentro il Senato».Tralasciando le battute populiste su chi siano davvero le bestie, si tratta di un’eccellente notizia per tutti. Per gli animali, innanzitutto, che rimarranno vicini ai loro umani senza soffrire di strazianti separazioni e senza essere costretti alle inevitabili rappresaglie (da padre di due gatti possessivi, garantisco che al ritorno dalle vacanze è già molto se della casa – la loro, chiaramente, io sono un ospite – si ritrovano i muri). Poi, in ordine di importanza, è una bella notizia anche per i legislatori. È noto l’effetto calmante e rilassante che provoca la presenza delle cosiddette bestie. Davanti allo sguardo adorante di Fido e a quello riprovante di Micio, perfino i senatori più turbolenti saranno indotti a un comportamento più sereno e meno aggressivo, risparmiandoci le deplorevoli incontinenze verbali e non di rado fisiche che spesso dobbiamo registrare, benché poi a Palazzo Madama il contegno generale sia nel complesso più tranquillo che a Montecitorio.Certo, resta il problema di quali animali ammettere. Sui gatti direi che non c’è obiezione possibile, anche se si tratta di animali per nulla democratici e anzi fautori della monarchia assoluta, la loro. I cani potrebbero essere più problematici perché abbaiano, anche se rispetto all’oratoria e alla sintassi medie dei patrii legislatori non sarebbe un abbassamento di livello. Anche per criceti e roditori in genere non sembra ci siano controindicazioni, almeno se li si tengono in gabbia. I guai potrebbero insorgere, mettiamo, con il senatore che si porta al lavoro il pitone. E non parliamo di eventuali equini. Già alloggiare un cavallo a Palazzo Madama sarebbe complicato, figuriamoci poi portarselo in commissione o addirittura in Aula. Qui ovviamente il precedente illustre c’è. Parliamo ovviamente di Caligola che, secondo Svetonio che però era notoriamente una malalingua, voleva nominare console il cavallo Incitatus, cui aveva già donato una stalla di marmo con la mangiatoia d’avorio, un collare di pietre preziose e una coperta di porpora (secondo Cassio Dione, altro pettegolo, Incitatus era anche stato nominato sacerdote). Da duemila anni, l’episodio è citato come esempio di demente decadenza e dei rischi di un potere arbitrario. Immaginate cosa diranno i posteri quando ricorderanno che noi abbiamo fatto senatore Toninelli.