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 2024  ottobre 05 Sabato calendario

Il tennis piange Lea Pericoli regina elegante e trasgressiva

Sotto il vestito, anzi sotto le culotte rosa di pizzo che scandalizzarono Wimbledon, tutto. Lea Pericoli è stata la Dolce Vita sul court, anche se per lei lo zucchero era stato poco. Ha anticipato la nuova generazione di giocatrici (ma non nei gemiti e nei rantoli) come una Lady Gaga d’altri tempi e in un’epoca in cui le campionesse italiane frequentavano poco l’estero, lei si è fatta conoscere e ha viaggiato da sola. Se n’è andata a 89 anni. È stata tanto: la trasgressione elegante, una tennista, una giornalista, anche di moda, una commentatrice (prima voce), una scrittrice, una conduttrice tv, un’amica dello sport, una madrina perfetta, una donna libera e nel dopoguerra anche molto affamata. «Ci giocavamo la colazione a carte. Ramino e scala quaranta, una notte ci ritrovammo con Nicola Pietrangeli per uno strip poker, lui tornò in camera con un asciugamano in vita». Indro Montanelli l’aveva definita un “coniglio coraggioso”, lei si presentava così: «Ero una buona giocatrice, non una campionessa. Sono stata fra le prime 16 del mondo, ho battuto cinque vincitrici di Slam, ho giocato tre volte negli ottavi a Wimbledon, quattro volte al Roland Garros, la semifinale del ’67 a Roma. Tutto da autodidatta: il mio tennis era istintivo e selvaggio, poi la Federtennis mi mandò a lezione dall’australiano Dinny Pails che mi rovinò costringendomi a fare pallonetti».Era la Signora del tennis, la riconoscevi subito, tailleur pastello, occhiali fumé. «Ho sempre tenuto molto al mio aspetto, anche adesso se non sono truccata e con i capelli a posto resto a casa». Aveva charme anche quando si lasciava scappare certe parole: «La russa Olga Morozova mi schiacciava sempre lì, sulla…». Fausto Gardini le diede il soprannome di Divina e l’iscrisse di nascosto alle selezioni di Miss Italia a Cortina. «Vinsi ma la piantai lì, in finale mi avrebbero stracciata, e io non gradisco perdere». Parlava benissimo tre lingue, era cresciuta tra Addis Abeba e Nairobi, per via del lavoro del padre, che però perdette tutto. Di rientro in Italia, Lea si mise a lavorare come segretaria e intanto giocava all’Ambrosiano di Milano («anche per rimediare un pasto da qualche socio»). Non era nostalgica, non le piaceva troppo il tennis muscolare, apprezzava Roger Federer e Flavia Pennetta. «Mi chiedessero in che epoca vorrei rinascere direi quella attuale, ricordo il primo torneo open che ho vinto: 400 mila lire, niente rispetto a oggi. Io ero carina e mi facevo invitare a cena».Tiri, smorzate, pallonetti. Con la racchetta di legno. E soprattutto una cosa che oggi, diceva lei, non si fa più: giocare sulle debolezze delle altre. Più che della fama le interessava la fame. In una magnifica intervista a Gianni Mura ricordava: «Eravamo a Londra, dico a Lucia Bassi che avevo rimediato un invito per due, e lei mi fa: non m’interessa, sono una ragazza che ha dei princìpi. E io sono una ragazza che ha fame e ci vado anche da sola, le ho detto». Sia chiaro, dopo cena, saluti e buona notte. Non era femminista, ci teneva ad avere un cavaliere, ma sapeva di aver dato liber tà alle donne indossando i completi molto azzardati che le disegnava Ted Tinling e che avevano fatto arrabbiare non solo il sacro tempio del tennis votato al bianco, ma anche suo papà Filippo. Ricordava a Mura i capi indossati: «Un gonnellino di visone, uno di penne di cigno, un abitino di petali di rose, un pigiama di pizzo, in Sudafrica perfino un vestitino d’oro con le mutandine di brillanti». Molti di quei pezzi sono esposti al Victoria and Albert Museum.Aveva molto amato, le piacevano i belli, ma quando nel ’73 le fu diagnosticato un tumore all’utero, lo affrontò pubblicamente, diventando anche la prima testimonial della ricerca contro il cancro, coinvolta da Umberto Veronesi. E dopo sei mesi si prese il titolo italiano. Nel 2012 superò anche un tumore al seno. Smise a 40 anni nel ’75, vincendo singolo, doppio e doppio misto con Adriano Panatta che era fidanzato con sua sorella. Le dobbiamo tanta consapevolezza: «Il tennis è stato un grande amore e i grandi amori vanno lasciati prima che diventino vecchi mariti. Non ho più preso in mano la racchetta, quando qualcosa finisce, finisce e basta». Accennava alla sua memoria, sempre più svagata: «Semino bigliettini per casa e così dimentico anche i dolori passati. Guardo avanti, sono innamorata della vita, mi seccherà lasciarla». Era grata allo sport «perché insegna a stare al mondo e ad accettare la sconfitta». Viveva sola, niente figli, ma tanti amici, dipingeva e giocava a golf. Confessava di aver molto vissuto: «Pietrangeli dice che solo i cretini non hanno rimpianti: sarò cretina, ma non ne ho». Il suo colpo più bello: non perdere mai l’appetito per la vita.