la Repubblica, 5 ottobre 2024
Intervista a Mahmood
Ha l’incedere elegante di un principe sebbene non lo sia per origine dinastica e venga, anzi, dalla periferia milanese, ma lo stile è tutto e Mahmood, all’anagrafe Mahmoud con quel “moud” trasformato in “mood” per indicare atmosfera, stato d’anima, è morbido ed educato, benché sembri malconcio per l’intenso lavoro preparatorio del tour che debutta a Jesolo il 18.Come va?
«Da dicembre ho avuto in tutto cinque giorni di vacanza, sono molto provato ma felice, sto facendo le prove con i ballerini e la band e sarà per la prima volta uno spettacolo vero. Fino a oggi ci siamo arrangiati come potevamo anche in base ai luoghi, diciamo che eravamo in modalità club, stiamo dando un senso e un gusto, un lavoro che dura da mesi. Eravamo tutti come degli “scappati di casa”, i miei tour passati sono indimenticabili, mi hanno lasciato le emozioni più forti ma immaginando il primo concerto nelle arene, nei palazzetti, faremo una cosa speciale, sono molto felice di come sta andando».
Ma come è possibile che proprio il “principe” Mahmood, col suo enorme successo, ora che ai giovani artisti basta un anno di streaming per andare a cantare negli stadi, non abbia mai fatto prima un concerto in uno spazio ampio come un palazzetto?
«Andava bene così, mi è successo solo quando mi chiamavano gli altri come ospite...».
E come sarà questo singolare debutto?
«Sarà come un’onda, legato da idee visive e vibes, deve essere un flow come un onda che cresce, che sale, ma in modo naturale, senza movimenti bruschi».
Nel suo ultimo disco dal provocatorio titolo “Nei letti degli altri” si avverte una dichiarata voglia di maggiore profondità. Da dove nasce?
«Sono cresciuto, semplicemente, o almeno credo, mi sono molto auto-esaminato e questo mi ha permesso di aprirmi, scoprire nuovi lati di me stesso e di quelli che mi circondavano, mi ha aiutato a dare una chiave più profonda, dettagliata. Nei letti degli altricredo sia un titolo che descrive l’intimità, i momenti magari facili da vivere ma difficili da raccontare. Una volta Elisa mi disse che siccome il mio ascendente è il Leone, a 30 anniavrei avuto un grande cambiamento, non so se quella cosa mi ha condizionato, tipo effetto placebo, però di fatto dai trent’anni ho cominciato a cambiare il mio approccio alle cose, alla vita, prima ero più respingente, diffidente, ora quella diffidenza se ne sta andando».
Si dice che per i musicisti più schivi le canzoni siano il momento di maggiore sincerità, è vero?
«Nelle canzoni scrivo tutto quello che non riesco a dire a voce, quindi sì, per me è come un diario, con la scusa che è musica quindi nessuno ti può giudicare, giusto?, puoi parlare di altri senza fare nomi... Alla fine non sono altro che canzoni. Sento di avere una maggior libertà di esprimermi, poi a riascoltarmi è sempre peso... anzi di più quando fai ascoltare aglialtri, ai diretti interessati, a volte è pesante...».
Ci sono state reazioni scomposte?
«Succedono cose strane. A un concerto è venuto uno e mi ha detto “grazie per avermi dato del coglione”, e io neanche lo conoscevo, molti si immedesimano, e bisogna accettarlo».
Può essere anche una bella sensazione. Anzi, qual è la cosa più bella che le hanno detto
«Una ragazza mi ha scritto in un messaggio che stava vivendo un momento difficilissimo, la mamma stava male, aveva perso un fratello, ma quando tornava a casa ascoltava le mie canzoni, mi ha detto che le davano un po’ di respiro in più, la riappacificavano, notava cose che avevo vissuto io ele aveva vissute anche lei. Quando i ragazzi mi scrivono di vivere esperienze comuni alle mie, sono felice, mi sento fortunato a fare il lavoro che preferisco, è un privilegio poter dare un sorriso, un conforto. A volte diamo tutto per scontato, i numeri, i platini, ma cosa rimane di tutto questo? Se posso dare un senso di pace a qualcuno mi colpisce molto».
Si può fantasticare sulla sua personalità in equilibrio tra ritmo e melodia? Al ritmo la parte più divertente e alla melodia quella malinconica?
«Sì, per me sono due diversi modi di sfogarmi, il ritmo è quello più violento, sfogo il corpo, irascibile, diretto, nelle ballad è uno sfogo più calmo ma più pungente. Uso le canzoni per sfogare dei malesseri, difficile che riesca a scrivere una canzone felice. C’è sempre un po’ di malinconia nei miei testi perché mi aiuta a superare i problemi».
A proposito di numeri, visto che sembra contino solo quelli, c’è molta volgarità in giro, a Mahmood piace apparire come un principe in mezzo al decadere stilistico del mondo della comunicazione?
«A volte ho l’impressione che l’ossessione per i numeri sia una cosa molto italiana, più che altrove, comunque mi fa piacere, sì, mi piace l’idea del principe. Il mio papà era fissato, ogni volta che andavo a casa sua mi faceva vedereIl principe d’Egitto eRoger Rabbit,diciamo che è più facile “sgargarozzare” e invece bisogna cercare quello. Insomma, moriremo da principi».
L’orizzonte era più bello un tempo. Com’è oggi per un artista?
«È un po’ triste, è tutto più arido, asciutto, grigio, io ho paura anche per me, sono spaventato per i prossimi anni che vivrò, ci sono gabbie di cui non ti accorgi, a volte mi rendo conto che sto mezzora al cellulare e neanche me ne accorgo... Bisogna prendere grosse decisioni, avere molta forza per dare svolte alla vita, io vorrei andare via, partire viaggiare, qui a Milano sto sempre a casa, vedo le stesse persone, sono limitato dall’idea che le persone mi conoscono e io no, è una cosa che ti spaventa».
Sono i problemi del successo? È una privazione?
«È una privazione palese, quindi bisogna sempre combattere, con tutto».