la Repubblica, 5 ottobre 2024
La triste parabola dei Ferragnez, prima osannati, poi gettati via
Non si può correggere il passato dissennato se non con il senno di poi, ma se truffa c’è stata la colpa coinvolge l’Italia dei migliori, che ha reso Chiara Ferragni fosforescente di moralità.Quando, per esempio, Diego Della Valle la chiamò nel consiglio di amministrazione della Tod’s, come se fosse Mario Draghi, Ferragni onorava già la Nazione, non perché aveva 40 milioni di follower, ma perché la fatina bionda dei diritti civili aveva fatto i soldi, che ormai è un valore in sé, e non potevano essere soldi falsi perché è vero che vendeva pigiami, ma ci aggiungeva ecologia e diritti. E il marito baciava in bocca un altro uomo e si dichiarava antifascista, ma aveva le guardie del corpo fasciste e criminali da curva, e in garage teneva la Ferrari color carta da zucchero, ma con il tettuccio in tela Lgbtq+.Le indagini si sono chiuse, Chiara Ferragni va verso il processo per truffa e Fedez chissà, per ora compare in un brutto pestaggio e persino nella mafia degli stadi. La caduta dei Ferragnez fa molto rumore, anche se non è paragonabile alla rovina delle grandi famiglie del capitalismo, i Florio o i Rizzoli o i Gardini, e però meriterebbe, come negli stadi, uno speciale minuto di mestizia nazionalpopolare. Ho qui il libro Filosofia di un’influencer (Il Melangolo) che le dedicò Lucrezia Ercoli, che insegna appunto “popsofia” a Bologna. E ho pure rivisto la serie pop di Netflix con la coppia che dormiva felice, ron ron, in una famiglia modello d’amore. In camera da letto avevano uno specchio di Sottsass. I due venivano ricevuti alla Triennale da Stefano Boeri e il direttore degli Uffizi Eike Schmidt aveva fatto fotografare Chiara davanti alla Venere del Botticelli.E piaceva alla gente che piace già quando Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, l’aveva ingaggiata come messaggera anticovid e certo, anche senza il senno di poi, avrebbe dovuto dargli i brividi quel piccolo Fedez che, a petto nudo segnato dai tatuaggi come lo sono i ponti e i muri d’Italia, indossava la mascherina come “il nudo con la cravatta” di Volontè e Panunzio.Sarebbe grottesco immaginare un concorso esterno alla beneficenza con il trucco, a una truffa senza truffati, visto chenessuno li mai denunziati, ma certo Chiara deve molto a tutti i Lorsignori e certamente al sindaco di Milano Beppe Sala che nel 2020 diede l’Ambrogino, il premio della capitale morale d’Italia, a questa coppia di benefattori, a Fedez, che allora era il perfetto maritissimo, ma aveva già l’aria del petit voyou da rissa e da pestaggio sebbene ingentilito dalla malattia, e a Chiara che vendeva parità sessuale e lingerie, femminismo e shampoo, libertà di pensiero e fuseaux.Quando persino Liliana Segre ingenuamente la volle al Binario 21 nel nome di Anna Frank, Ferragni toccò l’apice dell’autorevolezza di venditrice di rossetti e di pandoro, ma con l’engagement supremo della Shoa.Con il senno di poi, Amadeus e Gianni Morandi non l’avrebbero chiamata a presentare Sanremo e a giocare con Fedez al gioco dei baci rubati. Al teatro Ariston, tra Mattarella e Benigni, nell’orgia decorativa della scenografia “maiolica da cucina”, Ferragni fu infine laureata “politica” grazie al solito Salvini che era riuscito a maltrattare persino il mite Amadeus. Moderato in tutto tranne nella giacche e nelle iperboli, – un’emozione pazzesca!, anzi fantastica!, anzi leggendaria! – il bravo presentatore aveva replicato così: «Se non gli piace, si guardi un film». Di quel Sanremo dove Chiara esibì (e vendette) una stola bianca con su scritto “Pensati libera” contro – ohibò – il patriarcato, rimane la foto di gruppo, che è la memoria di ogni festa: da sinistra il testone di Gianni Morandi, poi una languida Chiara, il presidente Mattarella, che sembra imprigionato in un sorriso, il fiero Amadeus, e la signora Laura Mattarella, figlia del presidente.Ecco, davvero questo è un maledetto imbroglio semiotico che al processo dove si potrebbero senza sorpresa ridimensionare le colpe e i reati, meriterebbe comunque una sfilata di testimoni eccellenti, una specie di parallelo processo al Paese, tontolone e presuntuoso, che li ha inventati, gonfiati, laureati, e ora li prende a pernacchie, che sono il suono della ferocia italiana.