la Repubblica, 5 ottobre 2024
Berlino contro Ankara: la disfida sul vero kebab
È la pizza al taglio dei tedeschi, il re dello street food, il pranzo volante del manager indaffarato e la cena dello studente squattrinato. Il kebab, che in Germania si chiama anche “döner”, è un’istituzione, è il sinonimo di un pranzo veloce ma sano. O almeno, più sano di un hamburger al fast food. E leggenda vuole che la sua variante tedesca sia stata inventato da un immigrato, Kadir Numan, e ovviamente a Kreuzberg, nel cuore turco della vecchia Berlino Ovest.Nel 1972, quando l’area intorno ad Oranienplatz stava diventando “la terza città turca” dopo Ankara e Istanbul, il quartiere turco più popoloso e famoso del mondo, si narra che Numan abbia avuto l’idea di trasformare il kebab in un succulento panino. Ficcò la carne di agnello o di pollo in una pita, la condì con insalata e pomodori, e la servì così, “da asporto”. Aggiunse due o tre salse per i palati un po’ intorpiditi dei tedeschi. E per i puristi, Numan commise forse un’eresia, soprattutto per l’aggiunta delle salse all’aglio.Il kebab, in Turchia, viene servito su un piatto con un contorno di riso. Inutile elencare qui i migliori “kebabbari” di Berlino perché si rischierebbero insultie minacce:ogni tedesco ha il suo. Ma per mezzo secolo, la variante tedesca del döner ha convissuto pacificamente con quella originale.Finché Ankara, nell’attuale rigurgito nazionalista, ha pensato bene di appellarsi all’Unione europea per veder riconosciuto il marchio di “specialità tradizionale garantita”, con vincoli ben precisi. Come la pizza napoletana o il jamón serrano. Secondo il Paese di Erdogan, la tradizionale carne montata su un grande spiedo dovrebbe essere, per esempio, rigorosamente di manzo, agnello e pollo, giammai di tacchino o vitello.Berlino, però, non ci sta. Anche perché più o meno due terzi degli incassi registrati in Europa da vendite di döner avvengono in Germania: 2,3 miliardi dei 3,5 miliardi del Vecchio continente. La Commissione europea, dopo il ricorso dei tedeschi, ha dato sei mesi ad Ankara e Berlino per mettersi d’accordo su cosa sia un kebab. Altrimenti lo deciderà Bruxelles.Per capire quanto il döner sia un monumento, nel Paese dove vive la più grande comunità di turchi al mondo, è sufficiente ricordare una recente gaffe del presidente della Repubblica, Frank-Walter Steinmeier. Durante la sua recente visita ufficiale in Turchia, l’ex ministro degli Esteri s’è portato dietro un “dönerspiess”, uno spiedone di kebab da60 chili, come simbolo di fratellanza tra Germania e Turchia. Un pensiero in buona fede, ma accolto da grida indignate dei tabloid e dei politici turchi. E in effetti, un po’ scarso come riassunto del contributo dei turchi alla Germania. Che non solo ricostruirono – insieme a greci e italiani – il Paese dalle macerie della guerra: nelle fabbriche, nelle miniere, nelle acciaierie. In più, solo per citare gli esempi più recenti, è stato uno scienziato di origine turca, Ugur Sahin, a sviluppare il primo vaccino anti- Covid in Germania. E sono di origine turca alcuni dei maggiori artisti tedeschi – il regista Fatih Akin o la scrittrice Sevgi Oezdamar – o star globali del calcio come Mesut Ozil. D’altra parte fu proprio Fatih Akin a girare un film nel 2005 che si chiamava “Kebab connection”, tutto ambientato in un chiosco. Negli anni Duemila, il kebab divenne anche il sinonimo di una atroce serie di feroci omicidi commessi da una cellula terroristica neonazista, la Nsu. Le teste rapate avevano scelto proprio i chioschi tipici dei migranti per una serie di esecuzioni a sangue freddo, anche attraverso bombe. E il razzismo delle autorità e di certa stampa tedesca si espresse nel sospetto esplicito che si trattasse di regolamenti di conti tra criminali e nella pigrizia delle indagini. Soprattutto, fu discutibile il termine usato per quegli attentati di matrice neonazista: “dönermorde”, assassini del kebab.