Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  ottobre 05 Sabato calendario

La Rai ridotta a prendere un giornalista che viene dalle Iene

Ci sarà tempo per capire di quale «altra Italia» si parli (quella dei dimenticati, quella di chi non va più a votare, quella che «vuole dire la sua», quella della Meloni?), per ora la cosa più lampante proposta da L’altra Italia di Antonino Monteleone (Rai2) è che è l’altra Piazzapulita (La7). Stesso impianto scenico, stessa modalità di «approfondimento» (reportage e ospiti in studio), stesso «taglio giornalistico», ma decisamente dall’altra parte, che poi è la stessa operazione fatta a suo tempo da Rete4. Che la Rai sia costretta a scegliere un giornalista che proviene dalla scuola delle «Iene» è quantomeno singolare. 
Il «metodo Iene» è quasi sempre consistito, come ho avuto modo di ribadire, non nel fare serie inchieste ma nel cercare argomenti che generino paura, indignazione, compassione (se si tratta di malattie) al solo scopo di mettere in discussione l’affidabilità degli scienziati o la credibilità delle istituzioni. L’ultimo servizio che ricordo di Monteleone era quello per sostenere l’innocenza di Rosa e Olindo, accusando i «giornaloni» di assecondare i giudici e imbastendo il solito processo parallelo basato più sul sensazionalismo che su fatti accertati. L’Usigrai non ha nulla da dire sul «metodo Iene»? 
Smessi gli abiti neri delle «Iene», Monteleone ha indossato quelli della scaltrezza (la parola esatta sarebbe un’altra, inizia per «parac»), radunando in studio ospiti incontestabili e riservando un finale al povero Totò Schillaci, solo per invitare le figure apicali di RaiSport, in nome di un aziendalismo di fresco conio. L’unica cosa certa che si può affermare, avendo seguito la prima puntata, è che il programma è sicuramente meglio di «Lo stato delle cose» di Massimo Giletti. 
In sede di presentazione Monteleone ha affermato (ma non ho capito se è stato lui o il direttore dell’Approfondimento, Paolo Corsini) che L’altra Italia avrebbe fatto uso di «un linguaggio innovativo con cui intercettare un pubblico più giovane rispetto agli standard». Del linguaggio innovativo, nessuna traccia. Ha maltrattato la critica televisiva, ha anche detto che degli ascolti non «gliene frega niente». Ma un misero share dell’1,8% credo interessi all’azienda.