Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  ottobre 05 Sabato calendario

Il ripudio islamico ad Ancona

Talaq, talaq, talaq . È a formula del ripudio islamico. Come ghet ebraico. Fa discutere la vicenda del ripudio annotato nei registri dello stato civile del Comune di Ancona per formalizzare in Italia lo scioglimento di un matrimonio celebrato in Bangladesh. Possibile che la nostra legge recepisca il matrimonio islamico, che ammette la poligamia e non considera il valore fondamentale dell’uguaglianza fra uomo e donna? Possibile che la nostra legge recepisca un ripudio basato sulla volontà unilaterale dell’uomo? Possibile che si riconosca un divorzio fondato – come pare sia accaduto in questo caso – su considerazioni che non hanno nulla a che fare con i valori condivisi nella società occidentale?
Il diritto risponde a queste domande, azzerando la polemica politica. 
La nostra legge riconosce la validità di un matrimonio celebrato all’estero, se è valido nel luogo di celebrazione. Quindi, un matrimonio celebrato all’estero secondo il rito islamico (o secondo qualsiasi altro rito) è valido in Italia purché riconosciuto dalla legge civile dello Stato di celebrazione. Questo però non significa che il matrimonio straniero è disciplinato in Italia dalle regole, magari lontanissime dalle nostre, del luogo di celebrazione. I princìpi fondamentali del nostro ordinamento – l’uguaglianza fra i coniugi, il rispetto reciproco, la non soggezione della donna alla volontà del marito – sono sempre preservati innanzi ai giudici italiani. 
Che cosa succede però se è un giudice straniero a pronunciare il divorzio? La legge è chiara: se il divorzio straniero contrasta con i princìpi fondamentali del nostro ordinamento, non è efficace in Italia. Perché quindi l’ufficiale dello stato civile del Comune di Ancona ha annotato questo «divorzio» basato sulla volontà unilaterale del marito e su considerazioni che – a quanto sembra – sono in stridente contrasto con i valori fondamentali della nostra civiltà? La risposta è semplice: perché non spetta all’ufficiale dello stato civile fare questa valutazione e l’annotazione non implica un accertamento della validità del divorzio straniero. Nel caso in cui vi sia una contestazione sulla possibilità di attribuire efficacia in Italia ad un divorzio straniero, è un giudice a decidere. Così sarà anche nel caso di Ancona: un giudice valuterà se il talaq islamico ha rispettato i princìpi fondamentali del nostro ordinamento e se il diritto di difesa in Bangladesh è stato garantito. Solo in caso affermativo, il divorzio straniero avrà effetto in Italia.