Corriere della Sera, 5 ottobre 2024
Biografia di Zeudi Araya raccontata da lei stessa
Come riesce a non farsi schiacciare dal passato?
«Ma io lavoro per far rivivere il passato», dice Zeudi Araya. Bella, un po’ algida, professionale, tailleur da manager.
Siamo nel suo ufficio ai Parioli. Alle pareti i tre Oscar (Divorzio all’Italiana di Germi, Amarcord di Fellini, Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore), il Leone d’oro a Venezia (Vaghe stelle dell’orsa di Visconti) e i tre Leoni d’argento, i 21 David di Donatello e i 5 Bafta, gli Oscar inglesi.
Tutto cominciò quando fu eletta Miss Eritrea.
«Era la prima edizione. Avevo 16 anni, me ne aggiunsi due per poter partecipare. Mi iscrissi quasi di nascosto. Mio padre, governatore di Decameré la cittadina dove sono nata, non sapeva nulla. Ero una ragazzina vanitosetta, mi iscrissi al concorso perché sapevo che avrei partecipato a tante sfilate con dei bei vestiti da indossare. C’erano tante altre belle ragazze, la seconda arrivata era di religione musulmana, la terza era una italo eritrea».
E lei?
«Io sono cristiano copta. Il premio consisteva in una corona con la coppa, un bracciale, una Mercedes, un orologio e un viaggio in Italia. Prima andai nel previsto hotel di via Veneto, poi andai a vivere a casa dell’ex fidanzata di uno dei miei otto fratelli, che a Roma è stato un bravo oculista, ora non c’è più. In famiglia ero l’unica ad aver frequentato in Eritrea la scuola italiana. Poi dicono che non esiste il destino».
In cosa è rimasta africana?
«In tutto, ma sono prima di tutto eritrea. È un Paese abituato a etnie e religioni diverse. Nella mia scuola c’erano italo eritrei, arabi, c’era di tutto. Il primo scheletro umano, di oltre 3 milioni di anni fa, è stato rinvenuto nella vicina Etiopia. È il Paese più antico del mondo. E non siamo più sottomesse come in passato, dove le donne erano come le siciliane di una volta. Oggi le eritree lavorano e sono abbastanza indipendenti».
Lei come viveva la sua bellezza?
«Ad Asmara, dove presi il diploma di geometra, la gente non mi diceva: guarda come sei carina. Arrivata in Italia, qualche commento c’è stato, ma nessuno mi ha mai mancata di rispetto. Ricordo che per strada un ragazzo mi urlò: ma che sei un dipinto? Me ne dai una copia?».
Quando arrivò a Roma si utilizzava il termine «negra». Oggi sarebbe inimmaginabile.
«In Eritrea c’era una base navale americana con tanti afro americani. Noi li chiamavamo negri americani. Era consuetudine. Non c’erano significati razzisti. In Italia solo qualcuno mi chiamava bella negretta. Sono stata fortunata. Un agente di cinema mi presentò tutta gente carina, con Renzo Arbore e i suoi amici ho passato serate divertenti. Poi Renato Guttuso mi incontrò a un ristorante e volle farmi alcuni ritratti».
Capitolo Franco Cristaldi.
«Lo conobbi a Los Angeles. Ero andata per studiare l’inglese. Gli chiesi di portarmi con lui agli Oscar. Vinse con Amarcord, mi disse di restare che gli portavo fortuna».
Improvvisamente un tonfo.
«A 39 anni, dopo una vita di attese e di medici, aspettavo una bambina. La persi a sei mesi di gravidanza. Era marzo. Il nostro sogno sparì. Dopo quattro mesi, il primo luglio 1992, Franco Morì».
Come reagì?
«Mi cadde addosso il mondo, il dolore entrò dentro di me non subito, all’inizio ci fu solo lo shock. Vivo con i premi, i copioni, gli appunti di Franco. È come se vivesse con me. Cosa mi manca di lui? La sua energia. Se n’è andato quando prendevano piede i computer. Gli piaceva tutto quello che è nuovo. Il suo soprannome era tabellina. Io sono un tipo pratico. Mi rimboccai subito le maniche».
Come convive con ricordi così dolorosi?
«Non dico che è un dramma ma quasi. Il dolore fortifica, e ho cercato di superarlo continuando il lavoro di Franco. Nel tempo è subentrata la malinconia. Il dolore rende più consapevole rispetto a quelli che possono capitare in futuro. Ho mille bei ricordi ed emozioni che fanno male. Sono morte tante persone a cui ero così vicino. Monica Vitti, con cui giocavo a ramino fino a notte fonda, era stata mia testimone di nozze insieme a Fellini, che mi faceva disegni con i fiori. Con Monica andavo d’estate in Sardegna, solo che lei aveva paura degli aerei e ci raggiungeva in nave».
Come fu il suo matrimonio?
«Con Franco mi sposai nella sua villa in Toscana, dove c’è anche una chiesa. Io ero la più giovane tra loro. Un mondo che non esiste più. Vedevamo Sordi, Mastroianni, Rosi. Le idee dei loro film venivano così, conversando, ridendo».
L’ultimo suo film è del 1987, quasi 40 anni fa.
«Non ho rimpianti. L’unico forse è per aver detto no a 007, la spia che mi amava, con Roger Moore».
È stata più sex symbol o attrice?
«Ditelo voi. Non mi offendo se dite sex symbol. Non è un peccato. I miei film erano diversivi rispetto a quelli dei giganti, Fellini, Antonioni... Non volevo fare chissà quale film. La gente in Italia mi guardava con curiosità. Ero spontanea, istintiva. Se giravo in spiaggia è chiaro che ero mezza nuda, non c’era nessuna volgarità».
La ragazza dalla pelle di luna divenne un tormentone.
«Rispetto al quale provo solo gratitudine».
Lei è ancora di una bellezza abbagliante. Quale parte del suo corpo le piace di più?
«Mani, piedi, occhi».
Ci sono più ruoli per un’attrice di colore?
«No, ma è un falso problema. Si fanno meno film di una volta».
In che fase della vita è?
«Ho Michelangelo, un figlio meraviglioso di 28 anni che si è formato a Londra. Ha studiato politica, filosofia, economia, relazioni internazionali. Ora lavora con me alla library e al restauro dei film. Dopo l’acquisizione della Lux abbiamo in catalogo un centinaio di pellicole, ne ho anche prodotte alcune, accanto ai documentari, come quello sul travagliato cammino dell’Eritrea verso l’indipendenza. Non ci sono più tornata dopo la morte di mia madre. Aveva 104 anni».
Suo figlio l’ha avuto da Massimiliano Spano, il regista.
«Sono felicemente single da un bel po’ di anni e sto benissimo così. Sono felice».