Corriere della Sera, 5 ottobre 2024
La Pontida dei Patrioti
Quante ne ha viste, il «sacro suolo» di Pontida. In poco più di tre decenni, chi lo ha calpestato ha compiuto un lungo tragitto politico e ideologico che lo ha portato da un primigenio afflato federalista, con una successiva sosta in area secessionista per ragioni tattiche, fino a un approdo sovranista. Da un estremo all’altro, insomma. Da Umberto Bossi a Matteo Salvini, in altre parole, perché le idee, anche quelle leghiste, camminano sulle gambe degli uomini. E i due leader storici della Lega (la segreteria di Roberto Maroni è stata una parentesi), pur figli di stagioni diverse, sono espressione di idee, strategie, obiettivi che per quanto appaia incredibile sono molto lontani tra loro (e non a caso i rapporti non sono idilliaci tra fondatore e successore).
La Pontida che va in scena domani si declina scorrendo i volti degli ospiti d’onore che il vicepremier ha voluto invitare. Dal premier ungherese Viktor Orbán al presidente del partito populista portoghese Chega André Ventura, passando per l’olandese Geert Wilders, presenti fisicamente, con l’aggiunta dei video messaggi di Marine Le Pen e dell’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro, sul palco sfilerà la destra sovranista, in larga parte espressione del gruppo che al Parlamento europeo ha preso il nome di Patrioti, unita dallo slogan scelto da Salvini: «Non è reato difendere i confini» (è stato creato un Comitato ad hoc e saranno raccolte firme). Il fil rouge che tiene insieme tutti è la battaglia contro l’immigrazione clandestina, con il leader leghista che, con la richiesta di condanna a sei anni nel processo Open Arms, incarna anche fisicamente il ruolo della «vittima» del sistema dei poteri forti che vogliono speculare sulla globalizzazione.
Al fondo c’è un forte spirito antieuropeista (fosse pure contro l’attuale Europa) e allora non c’è nulla di davvero sorprendente in questo attracco al porto dei sovranisti. Perché Salvini debuttò da segretario a Pontida nel 2014 indossando una t-shirt blu con lo slogan inequivocabile: «Basta euro». La moneta per il tutto, era un chiaro rifiuto di assoggettarsi allo spirito comunitario. Domani, con tutti quegli ospiti (un inedito assoluto per Pontida, fatta eccezione per la presenza di Le Pen dello scorso anno), il cerchio si chiude.
Non ci dovrebbe essere, come dal 2019, Umberto Bossi. E la sua assenza fisica marca ancor di più il distacco dalla «sua» Lega. Che era, anche per ragioni familiari del fondatore, antifascista e avrebbe fatto fatica a condividere talune posizioni degli attuali partner austriaci (per i «rigurgiti nazisti» di cui ha parlato Antonio Tajani) e ungheresi. Ma al di là dei valori pre politici, il Senatùr, al netto della sbandata secessionista dovuta a una logica di recupero di un antagonismo al sistema un po’ appannato dopo l’esperienza del primo governo Berlusconi (1994), ha sempre cercato di rimanere fedele all’ispirazione del suo «maestro» politico, l’autonomista valdostano Bruno Salvadori.
Nel 1990 Bossi s’inventa il raduno di Pontida chiamando a raccolta quelli che lui definiva «i popoli del Nord»: veneti, piemontesi, trentini, liguri, oltre ovviamente ai lombardi. Uniti contro l’opprimente centralismo romano come la Lega lombarda del 1167 lo fu nei confronti dell’invasore Federico Barbarossa. E già l’anno dopo ecco che nasce la Repubblica del Nord e dodici mesi dopo il Parlamento del Nord (gli 80 «deputati» giurano a Pontida, naturalmente).
Allora come ora, la Lega è contemporaneamente partito di lotta e di governo. Ma il Carroccio bossiano aveva un ideologo, Gianfranco Miglio, preside della Facoltà di Scienze politiche alla Cattolica di Milano, sostenitore della trasformazione dello Stato in senso federale o, al più, confederale. E per i primi anni il rapporto fu fecondo. Poi, nel 1994, ci fu la rottura con Bossi e la Lega prese la piega indipendentista ufficializzata proprio a Pontida nel giugno del 1996 (e a Venezia il 16 settembre successivo). Salvo poi tornare su posizioni più morbide con l’ingresso nel governo Berlusconi II nel 2001 (con il Senatùr nei panni del ministro delle Riforme...).
Bossi poi nel marzo 2004 accusa il malore che ne segnerà il futuro. Anche il raduno di Pontida ne risente. Non c’è più l’irruenza del leader capace di arringare la folla per ore. Diventa un rito stanco fino a che non tocca a Salvini. E in pochi anni cambia tutto. Basta folklore, elmi scandinavi e scudi celtici, la Padania inventata da Bossi con il suo Sole delle Alpi finisce in soffitta. Nuovo anche il colore: dal verde si passa al blu. E nel 2014 il nuovo leader porta a compimento la «torsione» nazionale. Il nome della ditta diventa «Lega per Salvini premier». Il segretario guarda sempre più a destra. I suoi riferimenti, anche o soprattutto dopo lo spostamento su posizioni più moderate di Giorgia Meloni, diventano Le Pen e Orbán. Che assurgono, una l’anno scorso e l’altro stavolta, a protagonisti di un evento che per trent’anni è stato esclusiva del solo leader leghista.