La Stampa, 4 ottobre 2024
Roberto Perotti: "L’esecutivo non ha alternative. Paghiamo cari due anni di follia"
Roberto Perotti, economista alla Bocconi, conosce bene il bilancio italiano. Nel 2014 fu scelto da Matteo Renzi premier come consulente per la revisione della spesa. Lasciò l’incarico dopo un anno.Perotti, il ministro Giorgetti dice che è venuta l’ora dei sacrifici. Perché?
«Con la firma del nuovo patto di Stabilità alcuni hanno accusato Meloni di non avere difeso gli interessi nazionali. La verità è che non c’era molto da fare. Era evidente che dopo la follia della pandemia i Paesi nordici avrebbero imposto la linea del rigore, e non solo all’Italia».
Perché follia?
«Fra il 2020 e il 2021 abbiamo preso impegni di spesa per quattrocento miliardi di euro, tra gestione dell’emergenza Covid, Recovery Plan e Superbonus. Il risultato è che ora non riusciamo a trovare nemmeno cinque miliardi per la spesa sanitaria».
Dunque la linea prudente di Giorgetti è quella giusta?
«Giustissima, anche se non mi pare il suo partito fosse contrario a destinare a pioggia duecento miliardi per il settore edilizio, il meno innovativo che c’è».
Il governo deve reperire dieci miliardi, o con nuove tasse, o con tagli alla spesa. Ci sono alternative?
«Compensare la decontribuzione per i redditi più bassi con aumenti di tasse non è il massimo. E temo non sarà possibile ridurre la spesa: nessun governo ha la forza politica di farlo. Dunque a meno di un sorprendente aumento della crescita, per tenere in ordine i conti restano le tasse».
Se la richiamassero in servizio per ridurre la spesa da dove partirebbe?
«È una missione impossibile. La sanità non può essere tagliata. Le pensioni, con la crisi demografica, non possono essere ulteriormente compresse. Idem per i salari pubblici. Ci sarebbero le centinaia di agevolazioni fiscali, ma dentro c’è di tutto. In passato per creare scompiglio è bastato ipotizzare il taglio delle agevolazioni per il veterinario. Pensi al destino di Sangiuliano: lui gli aiuti a pioggia per il cinema ha tentato di tagliarli».
Quando ha voluto il governo Meloni ha fatto anche tagli importanti, pensi al reddito di cittadinanza.
«È stato un grande casino introdurlo, peggio disfarlo. Il reddito di cittadinanza era un concetto giusto attuato in maniera sbagliatissima».
La tassazione delle grandi imprese è una soluzione?
«Politicamente è la strada più praticabile: tutti odiano le banche e le grandi imprese».
Lo sarebbe anche una patrimoniale alla francese?
«Per ottenere un gettito adeguato occorrerebbe scontentare molte persone. L’alternativa è scontentarne poche per un gettito irrisorio».
Non bisognerebbe aumentare le tasse sulle eredità?
«Quella è pure una buona strada, come è noto l’Italia è uno dei Paesi occidentali con la più bassa tassazione. Ma anche questa è come la terza rotaia della metropolitana: chi la tocca muore».
La vedo pessimista. È stata la sua esperienza a Palazzo Chigi?
«Mai avuto malanimo verso Renzi. Al tempo aveva in mano il quaranta per cento dei voti, io ero un professorino della Bocconi che gli chiedeva di rinunciare al consenso. Lo compresi, al suo posto avrei fatto lo stesso».
Perché nemmeno un governo così forte ottenne risultati nella revisione della spesa
«Perché c’è sempre qualcuno che esce fuori da un cespuglio e dice che non si può fare. Si può ottenere uno, forse due miliardi».
Cosa propose di tagliare?
«Scrissi centinaia di pagine, su tante aziende pubbliche che si sono rivelate carrozzoni, sui trasferimenti alle Ferrovie, Invitalia. Potrei intrattenerla per due giorni».
E quando capì che non si sarebbe potuto fare nulla?
«Non fu possibile tagliare nemmeno un euro delle agevolazioni fiscali in vigore a Livigno»