la Repubblica, 4 ottobre 2024
Trovate particelle di plastica anche nel cervello
Anche noi stiamo diventando di plastica. Più la gettiamo nell’ambiente, più lei rientra nel nostro corpo attraverso l’acqua, il cibo e perfino l’aria che respiriamo. I ricercatori dell’università del New Mexico hanno trovato particelle di questo materiale anche nel cervello, dopo alcune autopsie. Lo 0,5% del peso del nostro organo del pensiero è costituito da plastica, secondo lo studio non ancora pubblicato su una rivista scientifica ma diffuso sul sito dei National Institutes of Health americani.Vuol dire che le nanoplastiche, frammenti dell’ordine di grandezza del nanometro (miliardesimo di metro), riescono a superare la barriera emato-encefalica: l’involucro che protegge il cervello dall’attacco di microbi o tossine, uno degli sbarramenti più efficaci mai creati dalla natura. La via di accesso è probabilmente il naso. Frammenti di plastica sono stati scoperti anche lì, nelle cellule nervose con cui sentiamo gli odori. E non c’è stato organo o quasi, negli ultimi due anni, dove gli scienziati siano andati a cercare e non ne abbiano trovato minuscole scaglie. La plastica si è accumulata in gola, naso, polmoni, fegato, cuore, reni, vescica, intestino, e perfino testicoli, sperma e placenta. Ne sono state trovate tracce anche nel meconio, le prime feci del neonato.Di plastica – per fortuna in piccola parte – sono fatti anche i nostri vasi sanguigni. Uno studio dell’università Vanvitelli le ha trovate nelle placche che causano l’aterosclerosi. Lo studio è uscito a marzo sul New England Journal of Medicine. «Erano inglobate nelle placche e ne causavano l’infiammazione» conferma Giuseppe Paolisso, che nell’ateneo campano insegna medicina interna e geriatria. «Abbiamo esaminato i tessuti di 257 pazienti con aterosclerosi alle carotidi, le arterie del collo. Circa 150 avevano placche inquinate, gli altri no. Fra i primi il rischio di essere colpiti da ictus o infarto era 4,5 volte più alto rispetto ai secondi. In epidemiologia è un dato enorme. E non abbiamo idea del perché le arterie di alcune persone siano contaminate e le altre no». Una rassegna dell’Università Vanvitelli sugli effetti delle microplastiche sulla saluteviene presentata oggi a Verona al Planetary Health festival, insieme a Wwf e Comune.La prima volta che abbiamo usato il termine microplastica – frammento di plastica inferiore ai 5 millimetri – è stato esattamente vent’anni fa, in uno studio suScience che notava la presenza di minuscoli frammenti di nylon, polietilene e polistirolo lungo le coste inglesi. Da allora il termine è stato usato in 7mila studi scientifici. Le microplastiche sono state trovate in 1.300 specie marine e terrestri, in Antartide e sull’Everest, nella fossa delle Marianne e nelle nuvole. Si diffondono a partire dai 57 milioni di tonnellate di plastica che gettiamo ogni anno, dagli pneumatici, dai vestiti sintetici e dagli involucri che vengono sfibrati in frammenti sempre più piccoli, pressoché indistruttibili, trasportati da fiumi e venti in ogni angolo del pianeta. I 7mila studi ci dicono che siamo di fronte a un rischio, ma non indicano come difenderci. Un documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2019 sosteneva che non ci sono evidenze di danni per la salute.«Le nuove ricerche smentirebbero questa tesi» precisa Paolisso. «Le microplastiche possono legarsi a metalli pesanti, pesticidi, o altri inquinanti. Una volta ingerite arrivano nell’intestino. Una parte è espulsa, ma le particelle più piccole vengono assorbite, entrano nel sangue e raggiungono i vari organi. Tra gli effetti osservati c’è un’accelerazione dell’invecchiamento delle cellule e un aumento dell’infiammazione dei tessuti. L’infiammazione è una sorta di caldaia accesa che causa danni diversi a seconda dei tessuti. Nei vasi sanguigni può favorire l’aterosclerosi e quindi ictus e infarti, nel cervello demenza e Alzheimer, in altri organi potrebbe essere legata all’insorgere di tumori». A mancare, prima di tutto, sono gli strumenti per contare le microplastiche all’interno del corpo. «Per il nostro studio abbiamo usato metodi sofisticati. Siamo lontani dal rendere questi esami routine». Abbiamo capito che l’acqua in bottiglia è più ricca di questi inquinanti rispetto al rubinetto. Che i piatti pronti per il microonde contenuti nella plastica, o i cibi avvolti in questo materiale, potrebbero essere fonte di contaminazione. Ma non è esagerato dire che navighiamo nella nebbia.