la Repubblica, 4 ottobre 2024
Bernard Arnault è l’anti-Musk
Uno investe sulla “vecchia” ma sempre popolarissima Formula 1, l’altro è l’uomo simbolo dell’auto elettrica; uno compra testate di carta, l’altro punta sui social network; uno colleziona palazzi e manieri, l’altro raccontava orgoglioso di vivere in un pratico container; uno ha costruito il suo impero su brand morbidi, profumati e costosi; l’altro vuole vendere al mondo giocattoloni fantascientifici come i razzi interplanetari o il pratico lanciafiamme da tenere in garage. È il derby degli ipermiliardari, quello tra Bernard Arnault, patron del colosso del lusso LVMH, e l’innovatore seriale, nonché attivista parecchio trumpiano, Elon Musk. Un duello a distanza tra due uomini divisi da tutto ma uniti dal fatto di essere i più liquidi del mondo: ogni pochi mesi si scambiano il primo e il secondo posto di quell’inarrivabile podio su cui si sale solo grazie a un patrimonio attorno ai 200 miliardi di dollari.Il francese, che ormai pare diventato un accumulatore seriale di brand e imprese, ha messo a segno in pochi giorni una serie di colpi che fanno scalpore. E, dunque, una quota nella società che controlla Moncler – marchio d’abbigliamento d’origine transalpina, ma rifiorito grazie alle cure dell’italiano Remo Ruffini che appare come un altro passo di LVMH nella nostra industria della moda, dove giù vanta nomi che vanno da Fendi a Loro Piana. Poi l’acquisto di Paris Match, rivista patinata che da decenni vellica la pancia della Francia a colpi di gossip e di celebrities, e che Arnault ha strappato all’arcirivale Vincent Bolloré, conquistando così – si suppone – anche l’imperitura riconoscenza del presidente Emmanuel Macron. Infine, il colpo davvero grosso di un accordo con la Formula 1 che partirà nel 2025 e durerà per un decennio intero, pagando in quel periodo circa un miliardo di euro per dare visibilità sui circuiti di tutto il mondo ai marchi di casa come le borse Louis Vuitton, lo Champagne Moet Hennessy, i cronometri Tag Heuer.Di sicuro non una mossa azzardata, quella di monsieur Arnault, che finora ha saputo incastrare alla perfezione i tasselli del suo puzzle del lusso. Uno spettacolo davvero globale come la Formula 1 – è il ragionamento – è la tribuna ideale per esporre quei prodotti che gli esperti di marketing chiamano “aspirazionali”, che trasforma le borse in talismano contro l’infelicità e il cachemire in inscalfibile corazza sociale.Certo, anche la Tesla, è a modo suo “aspirazionale”: chi la compra o almeno la guida manda un messaggio preciso. Ma il fascino, qui, è quello della tecnologia. Così come una grande macchina tecnologica – e, si è scoperto presto, anche ideologica – è la vecchia piattaforma di Twitter, che Musk, snobbando ogni pubblicazione cartacea, ha conquistato e subito ribattezzato con un’enigmatica X, aprendo il Vaso di Pandora delle teorie cospirazioniste su una scala finora inedita.Tech, contro glamour, dunque. Sul sito della “Boring Company”, come Musk ha voluto chiamare la sua società dedicata al business – in effetti non euforizzante – di costruire tunnel sotterranei e relativi sistemi di trasporto, ci sono prodotti come il lanciafiamme (“estintore venduto separatamente”) lanciato sul mercato per scherzo e che ha venduto 20mila pezzi e il profumo “Burnt Hair”, che ai marchi celebri di casa Arnault, da Guerlain a Givenchy, replica con l’olezzo di capelli bruciati.Non è solo dadaismo a fini di marketing, quello dell’imprenditore sudafricano che ha scelto di farsi americano, ma la dimostrazione che nelderby dei due mondi si sfidano anche, culture e vocazioni: da una parte la celebrazione e la capitalizzazione del “savoir faire” (salvo incidenti di percorso come le indagini dei pm milanesi sulle catene del subappalto di Dior), proprio della vecchia Europa, il culto della tradizione e l’accento sull’identità locale; dall’altra la spinta pioneristica, tra innovazione e talvolta provocazione, che fa forti gli Stati Uniti.Al di là delle evidenti differenze anagrafiche, Bernard ed Elon non potrebbero essere più diversi anche per quel che riguarda le rispettive famiglie. Il francese, 75 anni, una laurea all’École politechnique (che a Parigi chiamano, scherzi della storia e dell’onomastica, “X”), è uomo del secolo scorso: un matrimonio alle spalle e un altro in corso, cinque figli ai quali cerca di distribuire in modo equanime cariche di peso nelle 70 aziende di LVMH, con responsabilità e prebende commisurate a un gruppo da oltre 80 miliardi di fatturato. Al cinquantatreenne Musk, invece, i tabloid accreditano “almeno” dodici figli, da tre differenti relazioni. Tra di loro c’è Vivien – nata in origine Xavier – che oltre a cambiare genere ha presentato anche istanza per cambiare cognome in sprezzo al padre, e l’innocente ultimogenito che sarebbe già gravato dal nome di Tao Techno Mechanicus. Dettagli, certo. Ma anche messaggi, se non addirittura proclami ideologici. Nel derby tra l’Europa che estrae valore (per quanto ancora?) dalla tradizione e l’America che cavalca l’innovazione, talvolta senza sapere che direzione prenderà, si attende un terzo concorrente capace di unire le due forze. E magari salire anche sul podio assieme ad Arnault e Musk.