Corriere della Sera, 4 ottobre 2024
Le origini della radio italiana, tra nostalgia e rievocazioni
Era il 30 ottobre del 1984 quando andò in onda la prima di sei serate dedicate ai sessant’anni della radio italiana, tra nostalgia e rievocazioni, come suggeriva il titolo del programma che prendeva a prestito il celebre saluto di Nunzio Filogamo: «Cari amici vicini e lontani».
Furono serate memorabili, una sfilata di veri protagonisti, una festa dell’orgoglio aziendale. E poi (ricordo personale) quella sigla finale con le sorelle Nete, di un paesino vicino al mio, le cui canzoni mi erano molto familiari, a cominciare proprio da «Non ti fidar di un bacio a mezzanotte» (è stato Carlin Petrini a presentare le Nete a Renzo Arbore, nel giro del Club Tenco). Che gioia rivedere oggi quelle immagini! Per Rai Storia, Arbore, Ugo Porcelli ed Enrico Salvatori hanno suddiviso ogni puntata originale in due parti in modo tale che i momenti più salienti della trasmissione vengano introdotti da Arbore per approfondire temi e personaggi ospiti della celebrazione di 40 anni prima.
Tutte le puntate di «Cari amici vicini e lontani» sono state sottoposte a un restauro audio e video operato ai laboratori delle Rai Teche di Torino, che ha notevolmente migliorato la resa visiva e sonora della trasmissione. Nell’introdurre la nuova ricorrenza, Arbore ha ricordato che l’idea che lo convinse ad accettare la proposta fu quella della «festa aziendale»: ogni tavolo era contrassegnato dal nome di un programma e gli studi Dear a Roma erano affollatissimi. C’erano tutti, ma proprio tutti. Credo che una delle ferite più grandi della Rai di oggi sia proprio la perdita del senso di appartenenza e dell’«impegno sentimentale». Comunque, è stato un piacere rivedere Filogamo cantare «Il cagnolino pechinese», i volti di Silvio Gigli, Gino Bramieri, Leone Piccioni, Lucio Villari, Gianni Boncompagni, quelli di «Bandiera gialla», e quelli dei giovani turchi divenuti poi famosi, da Roberto D’Agostino a Paolo Zaccagnini. Questo materiale è storia, storia minima e quotidiana se volete, ma pur sempre storia del nostro costume, della nostra vita sociale, dei segni impressi in una comunità. A volte è una memoria proiettata da una lanterna magica (come in questo caso), a volte da un mucchio di specchi rotti.