Avvenire, 3 ottobre 2024
Tutta Europa ha bisogno della manodopera degli immigrati
Per discutere del decreto flussi bisogna partire da uno scenario: già prima della pandemia, ma soprattutto dopo, nelle economie dei paesi sviluppati sono emersi dei fabbisogni di manodopera non più coperti dall’offerta di lavoro interna. Per quanto riguarda l’Unione europea, neppure dai lavoratori provenienti dai Paesi di più recente ingresso, come Romania, Polonia, Bulgaria, che per vent’anni avevano fornito la forza lavoro di cui la vecchia Ue a 15 aveva bisogno. Per di più, se proprio decidono di cercare un futuro all’estero, sempre meno vedono l’Italia come una destinazione promettente. I governi europei si vedono quindi costretti a un difficile equilibrismo: mentre cercano di chiudere le porte ai richiedenti asilo, le stanno riaprendo ai lavoratori, dopo cinquant’anni di blocco degli ingressi per lavoro e di stigmatizzazione dei cosiddetti “migranti economici”. Proprio quelli che oggi vorremmo.
Se i lavoratori oggi servono, bisogna domandarsi se i decreti-flussi siano lo strumento migliore per selezionarli.
Ormai conosciamo difetti e distorsioni di questa misura. Vediamo come si comportano gli altri paesi “importatori riluttanti” di lavoratori stranieri.
Nel sistema francese, le autorizzazioni all’ingresso per lavoro sono concesse con difficoltà. Per i lavoratori temporanei sono disponibili i visti Schengen di breve periodo (meno di 90 giorni), a condizione di disporre di un alloggio. Stranieri assunti da imprese francesi per un periodo di un anno o più possono ottenere permessi più lunghi, così come i lavoratori qualificati. Esiste però anche la possibilità di ottenere un permesso per lavoro per gli immigrati irregolari, compresi i richiedenti asilo diniegati, quando possono essere occupati in “mestieri sotto tensione”.
Nei Paesi Bassi l’accesso di lavoratori è subordinato alla concessione di un visto, richiesto dal datore prima del loro arrivo. Questi deve dimostrare di non aver trovato lavoratori adatti all’interno dell’Ue, salvo categorie specifiche per le quali i requisiti meno stringenti. Un’agenzia governativa stabilisce quali siano le occupazioni in sofferenza e se il datore di lavoro abbia fatto ogni sforzo per assumere un lavoratore nazionale o europeo.
In Germania, la riforma del 2020 ha reso esplicito il fabbisogno di lavoratori. Sono state eliminate le limitazioni precedenti, e i datori di lavoro possono far entrare i lavoratori che richiedono, a patto che soddisfino certe condizioni: la conoscenza del tedesco, la disponibilità di un alloggio in Germania, la prova di potersi mantenere mediante il lavoro ottenuto. I richiedenti asilo respinti, ma non rimpatriati, dopo cinque anni possono ricevere un permesso di soggiorno temporaneo che ne consente l’inserimento nel mercato del lavoro. In Svezia questo avviene più flessibilmente: i richiedenti asilo respinti possono passare nel canale del soggiorno per lavoro.
Anche il caso spagnolo ha alleggerito i criteri con una riforma varata nel 2022. Tra i dispositivi previsti, rientra il visto per lavoratori dipendenti. La procedura dev’essere avviata dal datore di lavoro mentre il lavoratore si trova ancora all’estero, e riferita a posizioni inserite in una lista di occupazioni “carenti”.
Inoltre è stato agevolato l’accesso al lavoro degli studenti stranieri, fino a un massimo di 30 ore settimanali.
In definitiva, tutti i paesi considerati hanno oggi bisogno di attrarre lavoratori. Nessuna soluzione adottata è perfetta, ma non si trovano dispositivi simili al decreto flussi e alla bizzarra procedura dei click day. I punti sono tre: individuare le occupazioni in sofferenza, e questo bene o male avviene anche in Italia; responsabilizzare i datori di lavoro, senza frapporre regole soffocanti; attivare altre fonti di manodopera, tra cui spiccano i richiedenti asilo. I nostri partner hanno compreso che è assurdo mandare via giovani atti al lavoro, già da tempo sul territorio e magari inseriti, quando si ha bisogno di manodopera. Ma dalle nostre parti la politica, in questa materia, sembra lontana dal pragmatismo