Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  ottobre 03 Giovedì calendario

È rivolta in Vaticano per gli sposini licenziati

Sull’atto di licenziamento le parole burocratiche, fredde, notarili. «Recesso immediato del rapporto di lavoro ai sensi dell’articolo 75 del Regolamento per il personale per le motivazioni indicate all’articolo 7, comma 4, secondo capoverso». Gli effetti concreti, invece, purtroppo sono carne viva, pulsano e stanno stravolgendo i destini di cinque persone: Romeo e Giulietta, i due dipendenti cacciati dallo Ior il primo ottobre, e i loro tre bambini piccoli. Tutti legati ad una stagione incerta. Ormai disoccupati, senza stipendio, con il mutuo da pagare e una normalità da continuare a garantire ai figli, ai quali dovranno persino trovare le parole più adatte per spiegare loro questa situazione drammatica. Del resto nessuno in Vaticano avrebbe mai immaginato potesse finire così. E intanto monta la protesta. L’atto è stato già impugnato e notificato a Gian Franco Mammì e a Jean Baptiste de Franssu, rispettivamente direttore generale e presidente dello Ior. Laura Sgrò, legale dei due ragazzi, riferisce che quel pezzo di carta è da ritenersi «nullo, illegittimo e gravemente lesivo dei diritti fondamentali e privo di qualsiasi effetto». Da come si sono messe le cose, salvo qualche “miracolo” da parte di Papa Francesco, è difficile che questo caso emblematico non finisca dritto al tribunale ordinario, attualmente presieduto da Giuseppe Pignatone, l’unico foro competente per dirimere tutte le questioni della banca vaticana. È la prima volta nella storia della Chiesa moderna che il sacramento del matrimonio diventa motivo di licenziamento. Praticamente un paradosso in un sistema dove le fonti del diritto canonico comprendono le Sacre Scritture, le opere dei Padri della Chiesa, i principi morali e non di certo i regolamenti amministrativi del personale. Ed è proprio questo aspetto che sta sollevando interrogativi. Il caso dei due sposini dello Ior è stato al centro di una lunga riunione da parte dell’Associazione dei dipendenti laici vaticani, una specie di sindacato interno nato ai tempi di Paolo VI: «Ciò che fa più male alla Chiesa e a tutti noi cattolici, che la serviamo con il nostro lavoro quotidiano, è l’amara constatazione che il sacramento del matrimonio, ormai svilito in ogni parte del mondo, anziché essere difeso e sostenuto, è diventato motivo per la perdita del lavoro. Questo al pari di un atto gravemente illecito come il furto o la rivelazione di segreti d’ufficio». Vengono anche annunciate «iniziative concrete di protesta a sostegno dei due colleghi». Cosa possano essere però non sa. In Vaticano non sono mai stati fatti scioperi veri e propri. Solo una volta, nel 1969, i gendarmi in servizio al Cortile di San Damaso, stanchi dei turni massacranti, decisero di lasciare sguarnite alcune postazioni. Stavolta, invece, la questione potrebbe prendere pieghe inedite per la radice indecifrabile del provvedimento dello Ior anche se la banca ha spiegato di aver «preso la difficile decisione» per non creare «situazioni di conflitti di interesse nella operatività» di una struttura di soli 105 dipendenti riuniti in un’unica sede, senza filiali. L’Adlv ritiene che ormai sia giunto il tempo di affrontare la grande questione del lavoro in Vaticano aprendo «una stagione in cui il diritto sia basato su principi universalmente riconosciuti, e non su interpretazioni unilaterali. Colpisce però il silenzio assordante degli organi istituzionali e l’apparente carenza di umanità. La notizia del licenziamento ci lascia basiti. Avevamo tutti sperato in una soluzione bonaria mentre lo Ior è andato oltre ogni diritto umano». E oggi il Papa rischia di avere una famiglia in difficoltà in più