La Stampa, 3 ottobre 2024
RIta Pavone fu censurata dalla Rai per una canzone di amore saffico
Solo la malattia e un cuore matto – curato con una complessa operazione all’aorta -, hanno tenuto lontana Rita Pavone dal palcoscenico. Era il 2004 e si sarebbe fermata per oltre 7 anni: riportata in scena da Renato Zero per il galà per i suoi 60. «Era stato, con la Bertè, uno dei miei ragazzi geghegè – ricorda la cantante -. Erano anni che non cantavo più, neppure sotto la doccia. Glielo dissi. “È come andare in bici: quando impari è per sempre” mi convinse lui. Entrai “a schiaffo” e fu standing ovation. Non era cambiato nulla, neppure la mia voce». Da allora sono passati dieci anni abbondanti, l’ottantesimo compleanno è vicino e pure i 70 di palcoscenico. Che festeggerà in tour : dopo una lunga assenza, infatti, torna (sabato è a Legnago) con un progetto per il cui titolo ha preso in prestito le parole di Pierangelo Bertoli, Un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro. «Sono parole bellissime che mi corrispondono perfettamente. Mi piace alzare l’asticella».La prima volta dell’asticella?«Negli anni 60, quando lasciai Rca che mi voleva per sempre legata all’immagine degli esordi, il pallone e il ballo del mattone. Io volevo interpretare Cuore, dicevano che mi sarei giocata la simpatia dei ragazzi. Fu prima in classifica per 15 settimane. Le case discografiche sono pigre e, se non ti imponi, ti fanno fare la stessa cosa per tutta la vita. Mai accontentarsi».Altra asticella alzata?«Avevo scoperto di saper scrivere. Nel 1989, stanca di cantare cose che non sentivo, feci il concept album Gemma e le altre: il mondo femminile in tutte le sue sfaccettature. Gemma in particolare era un amore tra donne: ai tempi innominabile. E infatti la Rai la bandì».Rita bambina a Torino, a inizio anni 50. Cosa ricorda?«Abitavamo in Via Malta 43, a Borgo San Paolo: una periferia che era campagna. Vivevamo in 6 in due stanze. Il mio letto era in un passaggio tra ingresso e bagno: piccolissimo. Dicono che sia per questo che non sono cresciuta. I ricordi però sono bellissimi: babbo orgoglioso di lavorare in Fiat, mamma cuciva, i fratelli e contribuivano con lavoretti vari».Tre maschi e una femmina: come se la cavava?«Inevitabile fare il maschiaccio, se no venivi tagliata fuori. Per me era naturale giocare a calcio»Crescendo?«Crebbe anche la casa: ci assegnarono un alloggio nelle nuove palazzine costruite per i dipendenti a Mirafiori: una reggia. Sono grata ad Agnelli che volle questo quartiere. E per le vacanza al mare alla colonia di Marina di Massa: eravamo inquadrati quasi militarmente, ma mi sentivo libera. In un mese mangiavo più carne che in tutto l’anno».E a scuola?«In seconda fui bocciata in condotta: avevo una maestra che mi detestava e una compagna – di una famiglia importante – che non perdeva occasione di prendermi in giro per i capelli, la statura, le lentiggini, qualunque cosa. Una volta esagerò e le diedi un pugno. Ma in fondo fu un bene: la nuova maestra era deliziosa. E dopo tutti iniziarono a guardarmi in un altro modo».E nell’adolescenza?«Mai avuto problemi di autostima. Mi piaccio e sono sempre stata orgogliosa di me stessa. Non ero bella secondo i canoni correnti (le maggiorate), ma sempre avuto bei ragazzi»A esibirsi quando ha iniziato?«La prima volta fu a 9/10 anni all’Alfieri, in uno spettacolo sponsorizzato dalla Stipel (la compagnia telefonica torinese pre nazionalizzazione, ndr): mi presentai con due brani. Fino ad allora mi ero esibita solo davanti a i parenti e amici. Ne fui così scioccata che mi venne la febbre. Babbo era gongolante: è stato il mio primo sostenitore e manager. Girava in Vespa per i locali proponendomi: dava foto in cui sembravo molto più grande. Sai quante facce deluse ho visto arrivando? Ma mai dopo avermi sentita»Primi guadagni?«Boh, era papà che se ne occupava. E comunque, finita la scuola dell’obbligo, già lavoravo: stiratrice. Mamma mi voleva con un lavoro sicuro. Per andare al lavoro prendevo il tram: il controllore, sempre lo stesso, mi svegliava quando arrivavo. Sabato e domenica invece cantavo. C’era Rita che stirava e Pavone che cantava».Il cambiamento nel 1962. Un anno magico?«In realtà avevo deciso di smettere. Era saltato un contratto. “Non è destino”. Inoltre mamma da sempre remava contro: mi voleva con un marito e lontana dall’ambiente musicale. Papà però mi iscrisse di nascosto alla Festa degli sconosciuti di Ariccia. Lei si sentì tradita e ne fece un dramma. Anche perché, per la trasferta, papà usò i soldi che lei aveva messo da parte per comperare un frigo. Sferrò un colpo basso: “La vita di tua figlia vale di meno?"».Dopo di che fece filotto: vinse, incise La partita di pallone, andò in testa alla hit parade, la vollero a Studio Uno.«Mina era incinta, stavano cercando chi la sostituisse. Mi vollero proprio perché ero agli antipodi. Ricordo che ero in pensione con Gianni Morandi e sua mamma, quando telefonò il produttore: voleva incontrarmi. Cenerentola era diventata una principessa».E come nelle favole, insieme al successo arriva anche l’amore. Con Teddy Reno fu colpo di fulmine?«Lo conoscevo dalla tv: faceva Souvenir d’Italie e non mi piaceva perché non mi piacevano le sue canzoni. Cantante confidenziale... Quando però lo vidi ad Ariccia, ricordo di aver pensato “Con questo non finisce qui"».Lei minorenne, lui sposato e vent’anni più grande. Quando cominciò davvero tra voi?«Papà non poteva vederlo: per via della differenza d’età, non per la fama di tombeur de femmes. Era diventato il mio manager, eravamo sempre insieme, in ogni città aveva una ragazza diversa. Però parlavamo tanto e ci capivamo, ridevamo e stavamo bene insieme. Quando scoppiò l’amore (primo bacio durante un volo per il Brasile), fu a lungo platonico: ero ragazza d’altri tempi, mai prima del matrimonio. Così abbiamo aspettato per anni, finché la sua unione messicana non è stata annullata. In Italia ci siamo sposati civilmente quando è arrivato il divorzio».Settimana scorsa a Verissimo suo marito, 96 anni e 56 di vita insieme, le ha mandato una lettera d’amore che ha fatto piangere tutti.«Nulla che non sapessi e che non ci siamo già reciprocamente detti un’infinità di volte. Ma è stata una sorpresa che non mi aspettavo. E risentirselo dire è sempre una grande emozione».Wertmüller e cinema: un’altra serie di successi«Non volevo crederci, quando mi propose Giamburrasca. Attrice io? In un ruolo maschile? “Devi esserlo, non sembrare”. Mi sono messa a studiare i miei fratelli. Mi è capitato spesso di fare cose perché c’erano persone convinte che le potessi farle. E io, per non deluderli, ho sempre dato tutta me stessa»Forse solo Sanremo è stata una delusione. Come mai?«Canzoni sbagliate? Certo l’ho fatto poche volte, ma per anni c’è stata una persona potentissima che, un po’ come la maestra delle elementari, non mi amava anche se avevo canzoni (a detta di tutti) davvero belle. Ma che importa? Semmai il mio rimpianto è altro: se non fossi stata minorenne e mio padre non avesse avuto paura, forse avrei potuto avere una carriera americana. O quanto meno studiare là, come a un certo punto avevo pensato»Morale?«Mi sento Alice nel Paese delle meraviglie. Ho vissuto una vita da sogno e volato alta di adrenalina, emozioni e ricordi»