la Repubblica, 3 ottobre 2024
Stefano Massini porta il Mein Kampf al Piccolo Teatro di Milano
Un secolo fa Hitler dava alle stampe il Mein Kampf , autobiografia delirante diventata un manifesto politico. Come è statopossibile che la rabbia di un uomo posseduto da un pericoloso spirito di rivalsa sia riuscita a sedurre le masse?La domanda rimane valida anche rispetto ai populismi attuali. Stefano Massini debutta al Piccolo Teatro di Milano portando in scena senza orpelli le parole terribili di un Hitler trentenne pieno di spirito di risentimento e quelle del futuro Führer, messe insieme leggendo i comizi e le conversazioni con i suoi sodali. Il debutto a Milano dello spettacolo Mein Kampf è l’8 otto bre, andrà avanti fino al 27. Lo scrittore è sul palco solo, senza trucchi, simboli o immagini sullo sfondo. Il teatro di Massini da sempre indaga l’ossatura e la fenomenologia del potere ed è questa tensione civica e politica ad averne decretato il successo sui palchi internazionali. Proprio in questi giorni laLehman Th rilogy,vincitrice di cinque Tony Award, è per la quarta volta nel West End di Londra, fino al 5 gennaio al teatro Gillian Lynne, mentre una delle più grandi attrici del cinema inglese, Fiona Shaw – nota per il ruolo di Petunia Dursley nella saga cinematografica di Harry Potter – porterà 7 minuti all’Abbey Theatre di Dublino. Tutto questo mentre ilManhattan Project debut ta a Vienna, nel teatro diretto da Stefan Bachmann.Dare voce al “Mein Kampf” può sembrare controverso.«È un esperimento, un po’ una provocazione e una sfida».Che tipo di esperimento?«Un esperimento di conoscenza. Abbiamo imparato da Bertolt Brecht e Primo Levi che la conoscenza è essenziale ad evitare il ripetersi della catastrofe. Nonostante tutto viene spesso ostacolata, si frappongono diaframmi».Nel caso in questione, quali sono stati gli ostacoli?«Prima di tutto il peso del trauma. Come insegna Freud spesso ai traumi si reagisce rimuovendoli. Il mondo occidentale con il nazismo, i campi, la guerra, ha subito un trauma profondo, innegabile. Allontanarlo, reprimerlo, evitarlo è un modo per non vederlo. Ma ha influito anche la tendenza a trasformare in parodia il male assoluto. Caricaturizzare Hitler è stato facile: i baffetti, il ciuffo sulla fronte, la posa sbraitante. Il metro del riso illude di tenere il terrore al guinzaglio. Per questo alla fine ho deciso di stare sul palco senza bandiere o filmati d’epoca: nessun baffetto, nessuna svastica, né il cancello di Auschwitz ocose simili. Solo io e quelle parole».Il progetto teatrale arriva dopo la pubblicazione ad aprile del libro “Mein Kampf”.«L’idea dello spettacolo risale a una ventina di anni fa, infine mi sono deciso a parlarne con Claudio Longhi, direttore del Piccolo. Avevo assistito a una lezione di Luca Ronconi sulRiccardo III di Shakespeare. A un certo punto Ronconi diceva ai suoi allievi: dovete recitarlo come se fosse ilMein Kampf. Quella cosa mi è rimastadentro. Fino a quando, era nel 2016, vengo a scoprire durante una tournée che il governo tedesco aveva deciso di far tornare in libreria il Mein Kampf.Ho pensato allora che l’autobiografia di quel trentenne dai tratti nicciani, paranoici, messianici, che si credeva superiore a Marx e Gesù Cristo, meritasse di essere conosciuta. A suo modo è un romanzo di formazione, il cui protagonista è uno con cui è difficile immedesimarsi, uno nato in una cittadina austriaca che detesta,Braunau sull’Inn, tormentato dall’odio verso il padre che lo voleva impiegato. IlMein Kampf è la testimonianza di uno stato clinico di alienazione ma è diventato un progetto politico realizzato. Un libro da cui, per paradosso, è scaturito il rogo di 100 milioni di libri».Quali sono state le altre fonti a cui ha attinto?«Le confesso che è stata una ricerca sfinente. Negli anni ho studiato tutti i comizi di Hitler, i suoi discorsi, leinaugurazioni per i nuovi anni accademici nelle università. E soprattutto un materiale straordinario, le cosiddetteConversazioni di Hitler a tavola, registrate dai suoi fidati collaboratori, principalmente Martin Bormann: amene chiacchierate dopo pranzo e dopo cena sugli argomenti più disparati, dalla dieta vegetariana a questioni di politica estera».Crede che il successo recente degli ultranazionalisti di HerbertKickl in Austria e dell’AfD in Germania si giustifichi con un venire meno della memoria storica?«La memoria di quello che è accaduto si è talmente affievolita da rendere possibile voti a doppia cifra. D’altra parte nelMein Kampf possiamo rintracciare la genesi del populismo attuale: nasce in quel momento storico l’abitudine di parlare alla pancia delle persone. Hitler crea con le masse un rapporto di corteggiamento seduttivo, erotico, completamente nuovo».La sua versione del “Mein Kampf” all’ultimo Salone del libro di Torino è stata oggetto di una contestazione.«Un signore mi ha aggredito prima verbalmente per un’ora, poi fisicamente strattonandomi. Sosteneva che nel mio testo mancava il contraddittorio».Va detto che anche in Germania la ripubblicazione è stata accompagnata da un acceso dibattito. In molti sostenevano che andassero aggiunte delle note per spiegarne il contenuto.«Il signor Donald Trump durante un comizio ha testualmente detto che basterebbe autorizzare la polizia e le forze armate a una sola ora di totale violenza per eliminare il problema della criminalità. Secondo lei Trump ha bisogno di note a piè di pagina? E ricorda quando disse che gli immigrati sono persone tanto cattive a cui bisogna fare tanto male? Questo tipo di linguaggio elementare, destrutturato, con una sintassi che sembra rivolta a un bambino nasce proprio colMein Kampf. Nasce allora l’abitudine a trattare le masse come bambini impauriti. La domanda da farsi allora può essere: come mai le masse hanno abboccato a Hitler? È evidente che c’era una forma di torpore collettivo».Un torpore che ci riguarda anche oggi?«Abbiamo derubricato la politica a rodeo. I politici seguono le regole dei talent e dei reality show. Vince chi è più simpatico, chi dimostra più empatia prende voti. Il montepremi è la guida del Paese. Senza tener conto che fin dall’Atene classica lo Stato è tenuto in piedi dal senso critico, dal dibattito, dal logos».Portare il male assoluto in scena rientra nella funzione catartica del teatro?«Significa riattivare il logos inscenando l’orrore. Per Aristotele la rappresentazione dell’orrore della tragedia greca serviva a creare questo meccanismo di consapevolezza. L’Orestea si conclude con la trasformazione delle Erinni in Eumenidi. Lo scopo di questo spettacolo è trasformare le Erinni del male in logos, per restituirle alla civiltà».