la Repubblica, 3 ottobre 2024
Le piazze pro Palestina finite nelle mani dei fan del 7 ottobre
«Noi ricordiamo il 7 ottobre come la data in cui il popolo palestinese ha messo in gioco la propria esistenza per non morire giorno dopo giorno nell’assoluta indifferenza. Noi siamo tragicamente consapevoli che senza il 7 ottobre, senza la sua Resistenza, il popolo palestinese non esisterebbe più come identità, cultura, tradizioni. Per questo non accettiamo il divieto di manifestare». C’è scritto così nel comunicato diffuso ieri dal centro sociale Vittoria, storico presidio dell’area più antagonista di Milano, utile a confermare due evidenze. La prima è che a Roma il 5 ottobre saranno in tanti e da tutta Italia a sfidare il divieto delle autorità alle manifestazioni. La seconda è che le ragioni su cui è fondato il divieto, comunque lo si giudichi, sono confermate: sabato si scende in piazza per celebrare l’anniversario di un eccidio, considerato vitale atto di resistenza. Non che fosse difficile intuire la natura dell’appuntamento: «Il 7 ottobre è la data di una rivoluzione», c’era scritto nell’appello lanciato da Giovani palestinesi d’Italia e altre associazioni affini.Cosa penseremmo di una manifestazione per festeggiare l’anniversario della strage di piazza Fontana? Che idea ci faremmo di un sit-in per inneggiare all’11 settembre? Non serve rispondere, si spera. Ma se i trucidati sono civili ebrei, questo per qualcuno cambia tutto: manifestare non solo si può, si deve. La beffa è che il divieto imposto ai cortei ha spinto anche realtà di movimento critiche verso questa impostazione ad aderire alla mobilitazione romana: evidentemente la sfida al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi vale più del rischio di finire arruolati sotto le insegne dei fan del pogrom.Sarebbe sciocco pensare che un modo simile di guardare alla questione mediorientale sia una novità di questi anni turbolenti. Quando Oriana Fallaci andò a intervistare George Habash, leader del Fronte popolare di liberazione della Palestina, l’ala marxista della resistenza palestinese, gli chiese se non lo turbasse l’idea di inimicarsi parte consistente dell’opinione pubblica mondiale compiendo atti terroristici e massacri indiscriminati, Habash non rispose con reticenza: «Noi riteniamo che uccidere un ebreo lontano da un campo di battaglia abbia più effetto che uccidere cento ebrei in battaglia». Alla domanda se non temesse di scatenare una terza guerra mondiale, la risposta fu: «Onestamente no. È tempo che il mondo si ricordi di noi. Abbiamo il diritto di fare tutto». Le giustificazioni del leader del Fplp tornano nella nota del centro sociale Vittoria: «Per non morire nell’indifferenza».Ora che non c’è più da collaborare ad alcuna rivoluzione internazionalista, resta solo il furore ideologico che considera doverosa l’eliminazione fisica degli ebrei. Mentre si invoca la fine della mattanza di civili aGaza, si teorizza che i civili ebrei non sono nemmeno civili, bensì nemici da uccidere. La differenza più lampante tra cinquant’anni fa e oggi è che allora era più comodo allinearsi all’apologia del terrorismo dietro il comune obiettivo della rivoluzione comunista («Lo scopo della nostra lotta è instaurare il socialismo in Palestina», spiegava Habash a Fallaci). Nel 2024 siamo al grottesco, con i centri sociali che rivendicano la Palestina «come valore assoluto di pace e convivenza tra religioni diverse» mentre si accodano al programma di Hamas e Hezbollah.Ma c’è una seconda e più grave differenza, che riguarda tutti e va ben oltre la questione della manifestazione vietata, e sta nella progressiva cancellazione del confine tra antisionismo e antisemitismo. Non è un problema solo della sinistra, in buona parte della quale per fortuna il confine resiste, persino in aree cosiddette di movimento. La parola ebreo è tornata a essere uno stigma nel dibattito, non solo nelle fogne social.Resta il dramma, sbiadito per fortuna in confronto a ciò che sta accadendo, dell’avvelenamento dello spazio pubblico. Possibile che chi vuole manifestare per le ragioni del popolo palestinese debba trovarsi in piazza convocato dai fan dei pogrom di ebrei? Normale che l’agorà a disposizione di chi chiede di porre fine alla strage di civili a Gaza o invoca uno Stato di Palestina sia monopolizzato dai sodali del «fratello Nasrallah»? Per una volta, la querelle del 5 ottobre non tocca direttamente i partiti del fu campo largo, che almeno sulla condanna del 7 ottobre si trovano concordi. Meglio non approfondire troppo, però. Ieri il vicepresidente del Movimento 5 Stelle Riccardo Ricciardi ha detto in aula alla Camera che sono le democrazie ad aver compiuto i peggiori crimini dell’umanità: «Una democrazia ha compiuto l’Olocausto». Si riferiva al nazismo, evidentemente. Del resto, se Hezbollah vuole pace e convivenza, perché Hitler non dovrebbe essere annoverato tra i democratici?