Corriere della Sera, 3 ottobre 2024
Biografia di Paola Minaccioni, raccontata da lei stessa
«C ominciò negli anni del liceo. Ero complessatissima, iniziai a osservare gli altri perché volevo essere altro. Osservavo, imparavo. E poi facevo spettacolo. Imitavo la prof di matematica, di inglese, a volte anche davanti a loro o nelle riunioni di istituto, alle cene di classe... Io imitavo e tutti ridevano. Ho cominciato a sentirmi vista. Non era un progetto, lo facevo e basta. Quando sono salita su un palcoscenico la prima volta ero talmente un groviglio di complessi, domande, confusione mentale, che non potevo certo visualizzare il mio futuro».
E quand’è stata quella prima volta?
«Alla festa estiva di Ronciglione, vicino Viterbo, dove ho passato tutte le estati fino ai 18 anni. Ricordo che c’era in ballo l’elezione della miss; selezionarono le mie amiche, mia sorella Roberta, le mie cugine. Quando arrivò il mio turno mi scartarono: “No, tu facce ride”. Credo che qualcuno avesse detto in giro che facevo imitazioni».
L’occasione del palco è nata da un trauma.
«Esatto, ma io non mi sono scomposta. Ho risposto: va bene! Ho chiamato un amico mio che mi facesse un po’ da spalla e ho fatto quel che ricordavo a memoria dello spettacolo di Anna Marchesini con Solenghi e Lopez. Imitavo la Marchesini, capisce? Ci saranno state un migliaio di persone. E ridevano. Alla fine sono venuti a dirmi: sei brava, vuoi fare l’attice? E io: sì, certo. Come se avessi le idee chiare...»
Batticuore da prima volta?
«Non mi è tremata la voce e non ho avuto palpitazioni. Niente. Le mie emozioni erano fisiche, non sentivo più le gambe e mi chiedevo: come diavolo faccio a stare in piedi?»
Tutto questo più o meno 35 anni fa. Oggi Paola Minaccioni, 53 anni appena compiuti, è una delle più note attrici comiche italiane. Cinema, teatro, televisione, e la sua voce ci arriva da anni attraverso Radio 2 (dal 2013 con i personaggi esilaranti per Il ruggito del coniglio). Il suo talento le è valso – fra i tanti riconoscimenti – il Globo d’oro nel 2012 come migliore attrice non protagonista per Magnifica presenza di Ferzan Özpetek, e il Nastro d’argento nel 2014 – sempre recitando per Özpetek – come migliore attrice non protagonista per Allacciate le cinture, film per il quale ottenne anche la nomination per la stessa categoria.
Una carriera luminosa, eppure lei racconta una Paola che cominciò impacciata e goffa.
«È per mia madre Enrica che sono salita sul palcoscenico. Per vivere una vita che non fosse quella indicata da lei, e cioè: “il primo che ti si piglia ringrazia il cielo e sposati!” Lei amava moltissimo me e mia sorella, avrebbe dato la vita per noi, ma è stata una donna complessa, non ha mai perso occasione per farci sentire quanto non andassimo bene. Era rivoluzionaria, battagliera, vulcanica, con tutti tranne noi due. Ci schiacciava con la sua vitalità».
Un rapporto difficile, quindi.
«Un eterno conflitto. Metteva bocca su tutto, giudicava tutti. È sempre stata magra ma si vedeva grassa. A me e mia sorella ci rimpinzava di cibo per paura di non amarci abbastanza. Quando eravamo cucciolette ci dava dieci biscotti di quelli grandi per colazione. Dieci! Mezzo pollo per merenda. Sono venuta su piena di complessi, e anche quando sono dimagrita ho dovuto combattere per piacermi... Mi ha salvato il teatro. Non vorrei descriverla come un mostro, però. Non lo faceva apposta, porella. Ci ha amato molto, è morta 6 anni fa e io ormai l’ho perdonata».
Suo padre è stato per 40 anni il primo massaggiatore della Roma. Per lei era un mito.
«Un uomo stupendo. La sua vita è stata un romanzo straordinario e io e mia sorella stiamo raccogliendo materiale per un documentario su di lui: Mani d’oro. Abbiamo presentato il progetto al produttore Federico Scardamaglia, vedremo».
Dove comincia la sua storia?
«Da lui che nel 1928 rimane orfano di padre a nove anni e si mette a lavorare per aiutare la famiglia. Studia e impara a scrivere da solo. Lavora da garzone in un negozio di stoffe, poi in una macelleria, poi lavoretti vari. Dopodiché pensa bene di partire per la guerra con la Folgore... Lo fanno prigioniero e rimane ad El Alamein 5 anni. Ho ritrovato le lettere che spediva dal fronte. Era in guerra e scriveva ai fratelli: “Mangiate?” Non si è mai sentito sfortunato»
Com’è finito a far massaggi per la Roma?
«Quando tornò dalla guerra fece un corso da portantino, poi diventò infermiere e fece un corso da massaggiatore. Lo chiamarono una volta per sostituire un massaggiatore della Roma e lui diventò assistente del primo massaggiatore per 10 anni e poi primo massaggiatore della squadra. Ha girato il mondo, conosciuto e sposato una donna 22 anni più giovane di lui. Ha vissuto per la Roma ma non è mai stato un fanatico. Aveva mani d’oro, appunto. Era un fisioterapista pazzesco. Gentile, modesto, viveva tutto con leggerezza».
È vero che porta in scena sua nonna Vanda?
«Certo. La mia famiglia è fonte di ispirazione continua. Dico sempre che sono nata e vissuta in una tragicommedia».
Parliamo di grandi amori.
«Ho avuto due storie importanti. Narcisi. Il primo era un autore televisivo e capo progetto. Molto interessante, intellettuale. Finì che mi tradì e mi abbandonò per 7 mesi in un momento per me difficilissimo. Mise sottosopra la sua vita e poi tornò e mi chiese di sposarlo, ma si era aperta una crepa troppo grande. Non sono riuscita a perdonarlo. Gli dissi: quando ti sarai rimesso in sesto, con una casa bellissima e cento donne che ti piacciono, se ancora pensi a me... telefonami».
L’altra storia?
«Mi sono innamorata di un bellissimo ragazzo napoletano, ispettore di produzione di cinema. Lui è stato una sòla totale. Un mariuolo patologico, proprio. Non era solo tradimento, era far finta di essere un’altra persona. Uno a cui presti la macchina e ti dice: amore ho pagato la multa, sta’ tranquilla. E dopo tre anni mi arriva una cartella da 3.000 auro per multe non pagate... un mentitore seriale e anche un grande dispiacere. Ci siamo lasciati che avevamo appena preso casa: entrati a febbraio, a inizio aprile l’ho mandato via».
E adesso?
«Fra il mariuolo e oggi c’è stato un uomo che per due anni mi ha molto amata. Accudente, accogliente, gentile. Uno che fa tutto per te... Purtroppo non ho saputo accontentarmi di quel che provavo per lui. Ora ho una relazione che – ho quasi paura a dirlo – mi fa star bene quando c’è, e poi sono libera di fare quel che voglio. È tutto molto chiaro. Una sensazione magnifica».
Mai voluto figli?
«Ci ho pensato, sì. Ma non ho mai avuto la necessità di realizzarmi con un figlio».
Torniamo ai tempi della scuola...
«La sequenza è: liceo sperimentale indirizzo linguistico, quello delle imitazioni delle prof. Poi ho provato con giurisprudenza ma non era la mia strada. Allora mi sono iscritta a Lettere indirizzo spettacolo: mi piaceva moltissimo. Nel frattempo avevo fatto un esame al Centro sperimentale di cinematografia. Mi hanno presa e tutto il resto è scomparso. Sono atterrata in un mondo fantastico; sovrappeso, piena di complessi e vergine fra fighi che vivevano al massimo della potenzialità. Così quando salivo sul palcoscenico ero una bomba, potevo essere tutto».
Il cinema le vuole bene.
«Con il cinema ho iniziato tardi e mi ritengo fortunatissima. In Italia non ci sono tanti ruoli per una come me. Mi chiamano perché pensano che io possa far bene il lavoro e sono molto grata a questa cosa. C’è da dire che spesso rendo plausibili personaggi grotteschi. Per esempio in Baciato dalla fortuna, con Salemme, facevo la moglie ossessionata dalla morte, che amava le bare, i funerali, i cimiteri... qualsiasi attrice sarebbe scappata a gambe levate. Io l’ho fatta».
Perché la scelta di fare la comica?
«Non l’ho scelto, me lo facevano fare. Nel mio primo corso di recitazione con il maestro facevamo le scene – che so – di un drammaturgo americano? A me faceva fare la versione comica. E io: famme provà, ma niente... In realtà adoro il comico, sono felicissima di far ridere. Seguo l’idea che ogni superficie abbia una profondità».
Ha vissuto episodi sgradevoli sul set?
«Si parla sempre di registi che chiamano le attrici per provarci. Io certi provini non li ho fatti perché secondo il regista non ero “appetibile”, diciamo così. Il mio me too è: me not, why? Sul set, comunque, nessuno si è mai comportato male con me»
Attrici italiane che hanno subito avances?
«Beh sì, ne conosco ma non dirò mai chi sono. Vorrei aggiungere che per me un maschio che abusa del suo potere per fare sesso è l’antitesi dell’erotismo. Uno schifo».
Che cosa si può rivelare del film «Diamanti» di Özpetek che uscirà a dicembre?
«Non molto temo. Siamo 18 attrici tutte importanti, alcune dive, e andiamo tutte d’amore d’accordo. Sarà un racconto della realizzazione di sé attraverso il lavoro, negli anni Settanta».
L’impegno più vicino?
«Festa del cinema di Roma, 20 ottobre: serata per i 100 anni dell’Istituto Luce. Ci sarò con un cortometraggio fatto da me per la regia di Claudia Gerini. F accio il mio cavallo di battaglia: mi’ nonna. Parlo di come solo 70 anni fa c’erano concorsi per “donne ideali”. Ti insegnavano a lavare il bagno, accogliere il marito... Fa impressione. Ci ripenso davanti a certe pubblicità».
Quali pubblicità?
«Prendi Ilary Blasi. Figa, emancipata, libera. Fa la pubblicità con il capo che la chiama e lei che inventa scuse perché vuole stare a casa a odorare le lenzuola! Ma io dico: a parte che non sei credibile, Ilary, perché dobbiamo dire a una donna che è bello stare a casa a odorare le lenzuola?»
Una cosa a cui è impossibile rinunciare.
«Ginnastica. Ho fatto pallavolo agonistica per tanti anni, mi si è formata la psiche. Non è il muscoletto, è l’idea di superare i propri limiti».
Ha la stessa idea anche sul palco?
«Io ho rispetto delle cose che dico quando recito. Sarah Kane, che si è ammazzata per amore, diceva: vorrei che il teatro fosse come un’esperienza calcistica. Tu fai vedere una cosa e ti infervori, fai il tifo, piangi e ridi. Per me il teatro è questo».