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 2024  ottobre 03 Giovedì calendario

L’eterno duello tra Conte e Renzi

No, che si arrivasse al triello de Il buono, il brutto, il cattivo non ci aveva proprio pensato. Per Elly dipanare il groviglio del fu campo largo è più complicato del cubo di Rubik. Tra Giuseppe e Matteo volano sberle che buttano all’aria il castello di carte della segretaria, che già accarezzava il tre a zero in Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna. Ed è certo innegabile che il motto del Churchill di Volturara Appula sia toglietemi tutto ma non il mio Chigi.
Ma anche il Gian Burrasca toscano mica scherza, se è vero che, da premier, dopo aver perso il referendum sessanta a quaranta, voleva convincere Sergio Mattarella a dargli le elezioni anticipate, perché comunque, accidenti, ben quattro italiani su dieci stavano con lui. Il trono di Chigi, croce e delizia di chi ci si è seduto sopra anche per una breve stagione. Disintossicarsi è impossibile, ed è intorno a quel Palazzo che i nostri eroi duellano da tempo.
Le radici dell’odioUn anno, cinque mesi e otto giorni è durato il governo giallorosso di Conte, prima che Renzi lo buttasse giù il 13 febbraio del 2021. Ma le settimane e le ore precedenti sono state frenetiche, ricche di minacce, trattative, umiliazioni, tentativi di contropiede abortiti in fuorigioco. Matteo glielo aveva mandato a dire, con il garbo che solo lui sa usare: «Io lo so, ho fatto il presidente del Consiglio per più di mille giorni, e certe dinamiche le so valutare. Ecco, il professore per me è un incapace. Sarà pure simpatico, una brava persona, ma è inadeguato al ruolo che ricopre. Se ne deve andare a casa e, visto che c’è, si porti via anche Rocco Casalino».
Giuseppe però, visto che il messaggio gli pare pieno di sfumature, prende il telefono e chiama Renzi. Usa il cellulare privato, niente segreterie o centralini, perché non vuole mica urtarlo facendo la parte del superiore. Pare facile, quello col cavolo che risponde, hai voglia a sentir squillare il telefono. Siamo vicini al Natale e allora via con i whatsapp. «Ti avevo chiamato per farti gli auguri, Matteo. Sia a te che alla tua famiglia. Buone festività». Buona creanza vuole che si risponda, e così avviene: «Un augurio anche a te e ai tuoi. A presto». Che il primo lo ha chiamato affettuosamente per nome e l’altro invece ha mandato un messaggio anonimo, buono per tutte le occasioni, i più acuti osservatori politici lo notano subito. Va bene, arriva Capodanno, riproviamo, non si sa mai. «Matteo, ti faccio gli auguri di buon anno anche in famiglia». Musichetta, eccolo, risponde, ma è senza cuore: «Auguri a voi. Buon 2021». L’andata al Calvario di Conte continua anche nel giorno dell’Epifania, cenere in capo e nuovo messaggio: «Matteo, ti chiamerà Gualtieri per aggiornarti sulla revisione del Recovery plan. Mi sembra che tenga conto di molti vostri suggerimenti». Tocca a Franti: «Aspettiamo voi allora. Buona Epifania a te».
Matteo rivendicaQuello che segue è un rovinoso capitombolare verso la fine. Una lettera ultimatum di Renzi che gli pone condizioni capestro, dove manca solo la richiesta di rinnegare Padre Pio, che è pure pugliese come Giuseppe. Un’ansia frenetica tra gli scudieri di Conte che si sfiancano inutilmente a cercare voti in Parlamento, i «costruttori», come si chiamarono allora. Il canto del cigno in Aula del premier, che si toglie almeno la soddisfazione di non nominare mai Matteo. Che comunque mai ha mancato di rivendicare di aver fatto fuori Giuseppe: «Sì, sono stato io, e ne sono orgoglioso».
La partita del Cuore Si sfideranno ancora, un anno dopo, durante la maratona che porterà alla rielezione al Quirinale di Sergio Mattarella. Prima del voto finale, tra i due fu un gioco di sgambetti niente male. E quindi, dopo le Politiche, ecco le elezioni europee, quando Conte sarebbe stato felice di brindare al naufragio di Renzi, se non fosse che pure lui era uscito malconcio dalle urne.
Poi eccola l’estate del loro scontento. La partita del Cuore, con l’assist di Renzi a Schlein, che non le ha solo passato la palla ma le ha anche detto che sarà lei la prossima premier. Conte quasi in panchina. «Non mi fido di Renzi», ringhiava. Che poi è quello che gli aveva detto: «Se vai in hotel a 5 stelle a Cortina, poi non stare lì ad aizzare il popolo sul reddito di cittadinanza». E l’altro: «Matteo si definisce un mio collega? Perché? È professore?». «Conte ci fa fare figuracce, è un disastro, non conosce i dossier». «Chi butto dalla torre? Renzi si butta giù da solo». «Macché statista, Giuseppe è uno stagista».
La tigre di carta«È una tigre di carta, resuscitare Matteo è una ferita per i Cinque Stelle». «Poverino, Conte è ossessionato da me, lo capisco». «Renzi è un lobbista che prende i soldi dagli italiani come parlamentare e poi si fa pagare dai governi esteri». «Giuseppe è così poco autorevole che a fare le conferenze non lo chiama nessuno». «I primi a non volere Renzi sono gli elettori del Pd». «Parla Conte che fa la stampella a Meloni, votava i decreti di Salvini e tifa per Trump». «Matteo è una bomba a orologeria che vuole distruggerci».
La politica è l’arte del può darsi, e va bene. Ma che questi due possano tornare a fare un pezzo di strada insieme e che Schlein e Conte possano ricucire non pare cosa di domani. E questo è un guaio per Giorgia Meloni. Si sa, quando non hai concorrenza rischi di sederti.