Corriere della Sera, 3 ottobre 2024
Il generale Camporini analizza le mosse di Israele
«La Guida Suprema, Ali Khamenei, ora si troverebbe in zona sicura, giusto? A precisarlo son state le stesse autorità iraniane...», sospira il generale Vincenzo Camporini, 78 anni, già capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare e della Difesa, tra i massimi esperti di strategia e forze armate.
Che vuole dire, generale?
«Che gli iraniani non si sentono affatto sicuri, anche dopo aver lanciato una pioggia di missili verso Tel Aviv».
Temono che Israele stia preparando qualcosa per l’anniversario del 7 ottobre?
«Non so che abbia in mente di preciso Netanyahu, un regime change in Iran o altro, ma certo è preoccupato. L’obiettivo di Israele è senz’altro interrompere l’opera di arricchimento dell’uranio che è in corso, secondo l’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, nei siti nucleari iraniani. Anche se a Teheran continuano a ripetere che la sharia vieta loro l’uso dell’arma nucleare, i dati dell’Aiea mostrano che l’arricchimento invece è in atto e si avvicina pericolosamente al weapon grade, il livello necessario per fabbricare la Bomba ».
E allora?
«Non credo che Israele userà l’arma aerea, i siti nucleari iraniani non sono sotterranei, sono “incavernati”, impossibile colpirli dal cielo, non basterebbe neppure la bomba da 900 chili che ha ucciso la settimana scorsa Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, a Beirut, in grado di perforare due metri di cemento armato. Serviranno altre strade».
Quali?
«Anzitutto l’intelligence, perché la situazione in Iran oggi è confusa, ci sono molti chiaroscuri, non è così solida, l’opposizione è forte, sono possibili rapporti collaborativi in loco, come ha già dimostrato l’assassinio il 31 luglio scorso di Ismail Haniyeh, il leader politico di Hamas, proprio a Teheran, al termine della cerimonia di insediamento del presidente Pezeshkian. Dopo quello che è successo con i walkie talkie e i cercapersone a Beirut, l’intelligence israeliana può scoprire i siti nucleari in Iran, tracciarne entrate e uscite, il percorso dei cavi elettrici, l’areazione. Poi con bombe convenzionali si sigilla il tutto. Una volta scoperte le caverne, con i collegamenti giusti, per un sabotaggio basta un ordigno qualunque. Oppure c’è Stuxnet...».
Stuxnet?
«Il virus che più di dieci anni fa venne usato per far esplodere le centrifughe delle centrali iraniane. L’attacco cibernetico è un’altra delle strade percorribili».
E il «regime change»?
«Il regime di Teheran è più complesso di Hamas o Hezbollah, che sono organizzazioni verticistiche e una volta eliminati i capi ecco che rimangono i peones...».
I peones?
«Sarà molto difficile per Hezbollah riorganizzarsi dopo i colpi subiti. Ma Israele in Libano non ha ancora finito: non è suo interesse occupare dei territori, le incursioni mirate servono adesso solo a bonificare la zona tra Litani e la Blue Line, perché là è ancora pieno di postazioni militari da cui l’8 ottobre, il giorno dopo i massacri di Hamas, partirono i razzi che sconvolsero la Galilea del Nord, con 70 mila israeliani costretti alla fuga».
Intanto, però, anche Unifil rischia di finire sotto tiro.
«Un incidente purtroppo è sempre possibile, ma nessuna delle parti ha interesse a colpire Unifil. Però quando terminerà la “bonifica” di Israele, le regole d’ingaggio della missione Onu in Libano dovranno cambiare, servirà un mandato più pregnante: i caschi blu dovranno poter entrare autonomamente nelle cantine, senza più fare solo da supporto alle forze armate libanesi, per verificare se vi siano ancora nascosti dei razzi. Solo così sarà possibile impedire il riarmo di Hezbollah».
Si aspetta, in vista del 7 ottobre, la liberazione degli ostaggi israeliani da parte di Hamas, per ottenere un cessate il fuoco?
«Gli ostaggi sono l’unica assicurazione sulla vita rimasta a Sinwar, il leader superstite di Hamas. Ma io sono molto pessimista: ormai è passato un anno e non abbiamo più evidenze della loro esistenza in vita».