La Lettura, 29 settembre 2024
Aspettando le elezioni in Mozambico
Con la spada di Damocle di una possibile crisi energetica internazionale spinta dai conflitti in Ucraina e Medio Oriente, e con la ribellione islamista proprio in quel Nord del Paese dove sono state scoperte ingenti riserve di gas naturale offshore, cioè nel mare, è normale che la questione dei giacimenti di gas e del conflitto in corso siano due temi caldi delle elezioni generali in Mozambico del 9 ottobre. Ma, a trent’anni esatti dalle prime elezioni multipartitiche, è anche tempo di bilanci per la democrazia nel Paese.
Dopo oltre quindici anni di guerra, nel 1994 le prime elezioni pluraliste venivano descritte come una seconda liberazione. L’affluenza alle urne sfiorò il 90 per cento degli aventi diritto e l’ex partito unico, il Frente de Libertação de Moçambique (Frelimo), vinse pur tra accuse di brogli, così come avverrà in tutte le successive tornate elettorali. Nelle scorse consultazioni del 2019 l’affluenza alle urne ha superato di poco il 50 per cento, mostrando non tanto i segni di una democrazia compiuta, bensì quelli della rassegnazione di ampi strati della popolazione, rimasti marginalizzati dai profitti degli investimenti internazionali fioriti nel Paese.
Nell’estate del 2021 nella regione dei giacimenti, Cabo Delgado, sono state dispiegate le milizie del Ruanda per la difesa degli stabilimenti della multinazionale francese TotalEnergies, e alcune imprese ruandesi hanno cominciato a operare in Mozambico. Oggi una delle questioni più critiche è ancora una volta la poca trasparenza negli accordi internazionali stabiliti dal governo di Maputo. In quello con il Ruanda, parte dell’opinione pubblica prefigura l’erosione della sovranità nazionale, mentre gli analisti nazionali e internazionali ripropongono la storica questione di un partito di governo che sembra privilegiare la responsabilità internazionale rispetto a quella interna. È infatti proprio a partire dalle elezioni del 1994 che, tra alti a bassi nel rapporto con la comunità internazionale, il Frelimo sembra avere virato decisamente il proprio sguardo ai Paesi donatori e alle istituzioni finanziarie internazionali, lasciando indietro quello sviluppo inclusivo che aveva animato le ambizioni dell’indipendenza.
Non è un paradosso. Dall’indipendenza nel 1975 i diversi governi del Frelimo si sono sempre inseriti nei paradigmi della politica e dell’economia dominanti a livello globale per attirare le risorse necessarie all’economia del Paese (o al consolidamento del proprio potere, a seconda delle interpretazioni) con quel pragmatismo tipico di un’abile leadership cosmopolita formatasi negli anni della guerra fredda.
Le elezioni del 1994 hanno prodotto quello che sarebbe stato l’assetto politico fondamentale del Paese negli anni a venire: un governo egemonico del Frelimo capace di ergersi a modello di attuazione delle prescrizioni economiche internazionali. Il territorio non poteva offrire nessuna risorsa particolarmente preziosa, tranne la capacità del governo di mettere a disposizione le proprie terre (e la manodopera) per gli investimenti internazionali a condizioni particolarmente appetibili. Il Frelimo, divenuto partner privilegiato della comunità internazionale, ha saputo anche mantenere una sostanziale coesione pur sullo sfondo di aspre fratture interne per il potere; una tenuta invece venuta meno all’opposizione, dove è sempre rimasta l’ex guerriglia armata della Resistência Nacional Moçambicana (Renamo). Ma a metà dello scorso decennio, mentre la Renamo tentava di nuovo la carta di un velleitario confronto armato per invertire il suo declino, di fronte alle coste della regione di Cabo Delgado sono state scoperte le risorse di gas. È stata la prima volta nella storia del Paese.
Risorse «maledette», come subito molti commentatori si apprestarono a etichettarle, richiamando una nota teoria in materia e pensando effettivamente ai destini drammatici di altri Paesi africani ricchi di petrolio, oro, diamanti, rame, coltan e via dicendo. Grazie ai guadagni attesi dai contratti concessi alle multinazionali per lo sfruttamento dei giacimenti, la leadership del Frelimo forse cominciò a pensare di poter fare a meno di rendere conto anche ai suoi partner internazionali. E magari era anche certa che gli accordi segreti per acquistare in pratica delle motovedette militari sarebbero rimasti tali. Invece, mentre questi ultimi sfociavano pubblicamente nel più grande scandalo finanziario e politico della storia del Paese (il cosiddetto scandalo del debito occulto), a Cabo Delgado i primi episodi di insurrezione a sfondo islamista esplosero rapidamente in una ribellione armata capace di fermare a più riprese lo sviluppo dei progetti di sfruttamento dei giacimenti.
Tra le imprese coinvolte c’è anche l’italiana Eni, e questo spiega i frequenti viaggi dei vertici della politica del nostro Paese in Mozambico nell’ultimo decennio. Come detto, a supporto delle forze militari mozambicane nella regione sono ora impegnate le truppe ruandesi, dopo il fallimento di quelle sudafricane, della Wagner russa e in ultimo della comunità regionale di cui fa parte il Mozambico, la Southern African Development Community (Sadc).
Alle elezioni del 9 ottobre il Frelimo giunge con una candidatura presidenziale a sorpresa: dopo settimane di impasse per la sua designazione è emerso il nome di Daniel Chapo, certamente non l’esito per cui si era speso il presidente in carica dal 2015 e leader del partito Filipe Nyusi, e nemmeno uno dei nomi sui quali si era concentrata inizialmente l’opposizione interna.
Con Chapo è probabile che il Frelimo la spunti ancora una volta su una opposizione debole e divisa. La Renamo, la cui crisi è testimoniata dai risultati delle elezioni locali dello scorso anno, presenta il suo leader Ossufo Momade. Il terzo partito del Paese, il Movimento Democrático de Moçambique (Mdm), candida Lutero Simango, mentre la novità dell’ultimo momento è la candidatura di Venâncio Mondlane, fuoriuscito dalla Renamo, con Povo Optimista para o Desenvolvimento de Moçambique (Podemos). Solo un’improvvisa convergenza di tutte le opposizioni su uno di questi e un clamoroso boicottaggio interno al Frelimo potrebbero mettere in discussione la vittoria di Chapo. Forse Mondlane potrebbe rompere i consolidati equilibri dell’opposizione, ma per vincere le elezioni ci vorrà ben altro.
Al neoeletto comunque il difficile compito di convincere investitori e donatori di poter veramente riprendere il controllo della situazione nella regione dei giacimenti. Ma ugualmente difficile si prospetta anche il compito di convincere chi vota, i cittadini, che la democrazia in Mozambico non sia solo un contenitore vuoto di procedure dietro cui si dispiegano le aspre contese interne per il potere, bensì il volano di quel rapporto con le questioni dello sviluppo che si immaginava trent’anni fa.