La Stampa, 2 ottobre 2024
Fallaci a casa di Isabella Rossellini
L’ho incontrata per la prima volta a casa di Isabella Rossellini, che le ha voluto molto bene. Mi colpirono immediatamente gli occhi chiari, profondi, nei quali l’intelligenza e la rabbia nascondevano a stento un dolore mai sopito. Ero intimidito, aveva fama di essere brusca e aggressiva e mi presentai con una deferenza eccessiva al punto da farla sorridere. Isabella aveva organizzato una festa natalizia, e la signora Fallaci, così mi rivolsi a lei, era l’ospite che catalizzava l’attenzione di tutti, soprattutto coloro che fingevano di ignorarne la presenza. Lei ne era consapevole, ovviamente, ma era una situazione in cui si trovava ogni giorno, e in queste occasioni aveva sviluppato un atteggiamento di totale indifferenza, non saprei dire quanto reale. Era seduta su una poltrona con accanto Ingrid, la gemella di Isabella che aveva lavorato qualche anno prima come sua assistente, e tutta la sua attenzione si era concentrata su tre ragazze svedesi che festeggiavano la nascita di Gesù bambino con canti natalizi della loro terra. Le fissava con un’espressione severa, ed ebbi l’impressione che fosse infastidita dal fatto che Isabella avesse scelto la tradizione scandinava della madre piuttosto che quella italiana del padre, ma a ripensarci si trattava di una mia costruzione, motivata unicamente dal suo sguardo altero, per nulla annoiato, però. Oriana, come invece la chiamavano Isabella e Ingrid, era piccola di statura, più piccola di quanto credessi, ma non c’era nulla nel suo corpo che non emanasse una energia formidabile, pronta a esplodere in ogni momento: già in quella occasione ho visto lo sguardo implacabile con cui valutava qualunque cosa catturasse la sua attenzione per decidere se rientrasse nei parametri della propria visione del mondo. Giudicava, eccome se giudicava, sempre in maniera apodittica e a volte in modo sprezzante, ma prima voleva conoscere, sviscerare, catturare l’essenza, giungendo a mettere in discussione quello che le diceva l’istinto: tra i suoi tanti talenti aveva il dono raro della libertà di pensiero. Mi chiesi cosa stesse pensando, in quel momento, di quelle ragazze che cantavano in svedese, la purezza del loro sorriso diceva che credevano fino in fondo in quel momento di esultanza. Indossavano i colori del Natale, e la gioia con cui celebravano quel rito mi diede l’impressione, per un attimo, di trovarmi dentro Fanny e Alexander: ero arrivato da poco a New York, e ogni cosa mi sembrava un sogno o un miracolo. Mi chiesi se anche lei provasse la stessa emozione, mentre le ragazze bionde cantavano in quella lingua incomprensibile Stille Nacht, God Rest Ye Merry Gentlemen, White Christmas e poi anche Hallelujah di Leonard Cohen. Quando intonarono in latino Adeste fideles guardai nella sua direzione: le tre ragazze erano così belle con quei costumi verde, rosso e oro, ma la signora Fallaci non lasciò trapelare alcuna emozione. Mi chiesi cosa stessero pensando di lei gli altri invitati: a me era bastato guardarla un attimo per sentirmi rapito da un carisma prepotente e sfacciato e da quello sguardo che ti metteva completamente a nudo. Solo in seguito ho potuto apprezzare quanto fosse curiosa, capendo che il suo carisma nasceva proprio da quell’atteggiamento di apertura al mondo, come anche la sua forza. L’espressione severa del suo volto mi fece sentire in pena per le tre ragazze svedesi, ma appena finì l’esibizione, la signora Fallaci applaudì con calore e si avvicinò a loro per complimentarsi. A quel punto applaudimmo tutti, mentre lei le invitava sedersi al suo fianco per mangiare lo smörgfsbord (il tipico buffet nordico) offerto da Isabella. Non sapevano chi fosse e si sentivano totalmente a proprio agio con quella signora così calorosa che ringraziò Isabella per aver fatto vivere a New York quella tradizione. Il mio incontro con la signora Fallaci si arricchì di poche battute: era curiosa di sapere perché mi fossi trasferito in America e da dove provenissi, in Italia. Al contrario di ogni aspettativa, fu molto gentile, e si irrigidì appena quando le dissi che collaboravo con la Repubblica, quotidiano con cui era perennemente in polemica.