la Repubblica, 2 ottobre 2024
La mostra futurista è già un fallimento
Con più di seicento opere, era stata annunciata circa un anno fa come la più grande rassegna mai vista dedicata al futurismo. L’esposizione Il Tempo del futurismo, che aprirà i battenti alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma il 2 dicembre (la data ha subito uno slittamento), all’origine fu congegnata come un frutto della rivoluzione culturale di ottobre del governo di destra- centro, voluta dall’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e dalla premier Giorgia Meloni. Proprio perché avrebbe dovuto futuristicamente sorprendere, era stato ordinato al curatore, Gabriele Simongini, e ai membri del comitato scientifico: «Bocche cucite!». Nessuno adesso ammette di aver parlato, però, sempre più di frequente, trapelano indiscrezioni. Gli esperti incaricati di disegnare il percorso della manifestazione hanno visto parecchie diserzioni. Mentre ha dato le dimissioni una delle maggiori studiose e collezioniste del futurismo, Claudia Salaris, è entrato Osho, al secolo Federico Palmaroli, vignettista del quotidiano Il Tempo e amico della famiglia Meloni, il quale pare essere un grande appassionato di Depero, Palazzeschi & company. Il budget è stato rifilato, così dal MoMA non arriverà nessuna tela, i collezionisti italiani stanno mandando poco e la direttrice della Gnam, Renata Cristina Mazzantini, frugherà negli scantinati del suo museo. In una lettera al Giornale dell’arte, il curatore ha assicurato che ci sarà «un’attenzione alla matrice letteraria del movimento marinettiano che non ha precedenti in questi termini. Inoltre saranno esposti aerei, automobili, motociclette d’epoca e soprattutto strumenti scientifici». Pochi quadri, molte carte e tanti oggetti, insomma. Le mostre sul futurismo, a partire da quella di alcuni anni fa curata da Germano Celant per la Fondazione Prada con oltre 800 documenti, sono state spesso così ben nutrite di opere che sul movimento letterario e artistico fondato 115 anni fa sembra esserci poco di nuovo da scoprire.L’unicità de Il Tempo del futurismo l’aveva però anticipata Sangiuliano. Nella prospettiva di Genny il futurista, come qualcuno ha soprannominato l’ex ministro, la mostra avrebbe dovuto rappresentare una rivisitazione della “identità italiana”. Il futurismo aveva in odio però proprio l’identità e si scagliava contro gli emblemi dell’italianità, prendendosela con gli scrittori passatisti, con Venezia e pure con la pastasciutta. Il movimento ha poi influenzato, con i molteplici linguaggi – pittura, scultura, architettura, letteratura, musica, teatro, grafica pubblicitaria, fotografia, cinema, moda, arredo, editoria –, la nostra modernità, sfuggendo alla cancrena della detestata italica eredità. Filippo Tommaso Marinetti, infine, di cui proprio il 2 dicembre ricorrono gli 80 anni dalla morte, nella sua formazione aveva assai poco dell’“identità italiana”: era nato ad Alessandria d’Egitto, aveva studiato dai gesuiti francesi e scriveva le poesie nella lingua di Mallarmé. Quanto al rapporto con la politica, in origine molti futuristi furono socialisti, proprio come Mussolini, e poi aderiranno al fascismo. Ma avevano fondato il Partito Politico Futurista, che voleva lo “svaticanamento dell’Italia”, la repubblica, la lotta all’analfabetismo, il suffragio universale, il «divorzio facile, la svalutazione graduale del matrimonio per l’avvento graduale del libero amore e del figlio di Stato». Scelsero di abbandonare la loro lotta e si schierarono a fianco del Duce, dando vita alla loro stagione artistica meno fertile e meno innovativa.Sangiuliano quando aveva ideato la mostra voleva dare una spallata alla cosiddetta egemonia culturale della sinistra. L’assunto era che nel secondo dopoguerra c’era stata una damnatio memoriae dell’avanguardia futurista. Cosa assolutamente falsa. I primi a riscoprire a metà degli anni Cinquanta gli scritti di Marinetti e le opere pittoriche dei grandi maestri futuristi furono i “sinistri” Edoardo Sanguineti, Maurizio Calvesi ed Enrico Crispolti, seguiti da una lunga schiera di studiosi progressisti i quali paradossalmente vedevano nell’avanguardia storica il futuro dell’arte e della letteratura. Altro che passatismo!Adesso che Genny il futurista ha dato le dimissioni, le consegne della mostra voluta dal ministero di via del Collegio Romano vanno ad Alessandro Giuli che è stato presidente del Maxxi e che di arte moderna dovrebbe intendersi. Il nuovo ministro può uscire dal precedente tracciato, dalla riscoperta di questi artisti utilizzata come un randello ideologico, e può liberare i curatori dalla consegna del silenzio. Una mossa da governo libero e futurista, perché no?