Corriere della Sera, 2 ottobre 2024
Il mondo di mezzo delle curve milanesi
Una volta, si scavalcava. Accadeva tra mezzogiorno e le 14.30, a quei tempi orario di inizio di tutte le partite. All’angolo della via lungo l’Ippodromo del trotto, si formava una catena umana di ragazzi e anche di persone più grandi che si arrampicavano aiutandosi con le inferriate per entrare senza biglietto. I portoghesi, così si diceva e si scriveva. Chi non ce la faceva, in cambio di qualche mille lire era aiutato da alcuni senatori della Curva Sud dotati di spalle capienti sulle quali fare leva. All’ingresso della rampa 18, l’indirizzo della Fossa dei leoni e delle Brigate rossonere, c’erano i rispettivi baracchini che vendevano sciarpe, foto, adesivi, toppe stilizzate per i pantaloni e per i giubbotti, qualche spilla. A chi domenica dopo domenica diventava una faccia nota, veniva chiesto di fare la tessera del club, con rinnovo annuale. Diecimila lire.
Non è vero che i tempi andati sono sempre più belli di quello presente. Gli scontri con le altre tifoserie erano violentissimi, coltello e catena erano moneta corrente sulle gradinate. I padri di famiglia che ai distinti, primo anello, si avviavano verso l’uscita con i figli piccoli passando sotto gli striscioni dei Commandos Tigre, se incautamente avevano con sé sciarpe o cuscinetti della squadra extracittadina più odiata, la Juve, venivano picchiati a sangue e lasciati esanimi a terra. Senza che nessuno, neppure i volontari della Croce Rossa, potesse intervenire. La colletta domenicale, espletata con modi molto convincenti anche oltre la zona di confine, serviva per pagare le spese legali a chi ne aveva bisogno.
«La curva è una zona franca, rigorosamente autonoma rispetto al mondo esterno. I suoi membri si vivono come portatori esclusivi della bandiera e delle tradizioni, interpreti principali del tifo, nonché interlocutori privilegiati dei propri simboli viventi, i giocatori. Essi rivendicano a sé, quindi, un ruolo dominante non solo in generale nell’intera scena dello stadio, ma in particolare nei confronti del pubblico generico». Come fosse ieri. Invece era il 1990, quando il mai abbastanza rimpianto professor Alessandro Dal Lago pubblicò il prodotto della sua ricerca compiuta nell’arco di due anni sulle curve di San Siro, di Torino e Bergamo. Descrizione di una battaglia, questo era il titolo di un libro che nel suo piccolo fece epoca, svelando anche come il tifo di curva fosse una fonte di legittimazione sociale per coloro che ne officiavano.
Perché ancora pochi anni fa, i capi dei cosiddetti ultrà erano dei reietti. Erano persone obbligate a negare la propria identità, che si coprivano il volto per non essere riconosciute, e che spesso, quando di estrazione borghese, conducevano una vera e propria doppia vita. Gli ultrà vivevano e agivano quasi tutti nelle periferie di Milano. Nei quartieri più remoti e difficili, sede anche dei bar usati come punti di ritrovo. C’erano meno soldi. Non è certo per caso che quando i guadagni e le attività lucrose sono aumentate, la vecchia Curva Sud del Milan, ma vale anche per l’Inter, venne spazzata via. Come si legge anche nell’ordinanza della procura, i Commandos Tigre si sciolsero nel 2016 in seguito a un agguato teso dopo un Samp-Milan da altri sedicenti tifosi rossoneri, i nomi dei quali sono oggi noti alle cronache, che si avvalsero di picchiatori professionali provenienti da una palestra di pugilato frequentata da estremisti di destra.
Cambiavano le curve, cambiava anche Milano. Non sempre in meglio. Basta che paghino. Le luci della città rivitalizzata dall’Expo si accendono anche per gli ex paria della domenica. Alcuni dei nuovi capi hanno rapporti consolidati con rapper emergenti come Lazza ed Emis Killa, frequentatori della Curva Sud ben prima di diventare celebri, ai quali si aggiunge poi il più famoso di tutti, Fedez. Con l’amicizia, chiamiamola così, nasce anche un rapporto professionale. Le foto parigine pubblicate su Instagram dall’ex marito di Chiara Ferragni in compagnia di Islam Hagag e Christian Rosiello, suoi guardia spalle e volti ben noti della balaustra rossonera, la prima fila della Curva da dove scandiscono i cori, poche ore prima del loro arresto sono in qualche modo un segno, seppure involontario. La saldatura tra quello che qualche anno fa a Roma veniva chiamato mondo di sotto con la bella gente che anima serate e pettegolezzi della città che ama sentirsi in cima all’Europa, è ormai un dato di fatto.
Le celebrità vanno dove ci sono altre celebrità. Quindi perché stupirsi che la Sacra Trinità delle notti milanesi, Tocqueville, The Club e Old Fashion, accogliesse spesso gli ultrà più compromessi nei suoi privé, al seguito dei cantanti loro amici? In molti sapevano di questa commistione. Bastava seguire i social dei 7-8 ultrà che hanno preso il comando del tifo organizzato, pieni di viaggi in Costa Smeralda al seguito dei loro amici artisti, di foto con altri personaggi famosi. I tempi dei paria da curva sono soltanto un ricordo. E poi c’erano già stati episodi da bandiera rossa.
La famosa lite all’interno di The Club tra il personal trainer Cristiano Iovino e Fedez, quest’ultimo presente a ogni svincolo delle vicende che tramite magistratura hanno dissolto l’attuale cupola degli ultrà milanisti, viene risolto da una visita del rapper a casa di Luca Lucci, il capo dei capi della curva. Non proprio un segreto, una Ferrari in quel di Scanzorosciate, all’imbocco delle Alpi Orobie, tende a farsi notare. Ma la legge del farsi i c… propri è in vigore anche a questa latitudine. Tutto il mondo è paese, non è mai esistito uno specifico milanese.
I cosiddetti Vip erano lo strumento attraverso il quale ripulivano i soldi personaggi come Lucci, «Il toro» che usò una foto con Matteo Salvini quando quest’ultimo era ministro dell’Interno per consolidare il suo status di capo degli ultrà milanisti. La promiscuità, anzi la fusione anche commerciale tra i due mondi si accentua durante e dopo il Covid, quando le curve rimangono senza stadio e quindi senza guadagni. È durante quel biennio che i capi si rendono visibili, ed esibiscono le loro conoscenze invece di celarle, trovando terreno fertile in un ambiente musicale che si mostra affascinato da loro. Nelle carte dell’inchiesta non manca quasi nessun rapper di vaglia, milanista o interista che sia. Lazza, Emis Killa, Cancun, Guè Pequeno, Tony Effe, oltre naturalmente a Fedez, ognuno viene citato a vario titolo. I capi ultrà e la loro aura di violenza come i gangster del nuovo millennio. In questo magma, Milan e Inter, due simboli anche di una certa idea di Milano, sono invece al tempo stesso ostaggi e artefici con il loro silenzio di questa situazione. Allo stesso modo dell’intero calcio italiano, che salvo rare eccezioni si fa scudo di una legge che imporrebbe alle società sportive di non avere alcun contatto con gli ultrà. Ma certo, come no.