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 2024  ottobre 02 Mercoledì calendario

Sulle curve milanesi: lo sapevamo, siamo onesti

Smettiamo di chiamarli tifosi. Chi uccide non è un tifoso. Chi picchia, minaccia e ricatta non è un tifoso. Chi specula sulla passione di tanti ragazzi innamorati di una squadra non è un tifoso. È un delinquente, e alle sue colpe bisogna aggiungere questa: sporca un bellissimo romanzo popolare, capace di divertire e consolare tanta gente.
Risse, pestaggi, estorsioni. Un omicidio, e non era il primo. Patti con i clan. Associazione per delinquere con l’aggravante dell’associazione mafiosa. Diciannove arresti. Leggere le cronache del Corriere è impressionante, ma non sorprendente. Davvero non sapevamo che intorno al calcio, non solo a Milano, si muoveva questa melma? Certo che lo sapevamo. Ma era doloroso e lo abbiamo ripetutamente rimosso: è una specialità degli innamorati, in fondo. Ora, però, l’ultima illusione è caduta, a colpi di intercettazioni, immagini inequivocabili e capi di imputazione. Cosa dobbiamo fare? Rinunciare allo sport che amiamo e darla vinta ai delinquenti? Neanche per sogno. La risposta è l’onestà, e l’onestà passa da un esame di coscienza.
Devono cominciare i tifosi di Inter e Milan: quelli veri, quelli per cui una squadra è sogni e ricordi, una comunità immaginata cui si resta fedeli per tutta la vita. Quante volte abbiamo considerato coreografico quello che era vietato, minaccioso e pericoloso? Abbiamo disciplinatamente tolto il tappo alla bottiglietta di acqua minerale entrando a San Siro (non sia mai che qualcuno la getti in campo!); e poi abbiamo visto, e magari applaudito, esplosioni paurose, fuochi accecanti, fumogeni che coprivano il campo. È accaduto anche al derby, pochi giorni fa.
Quando lo storico capopopolo dell’Inter – Vittorio Boiocchi, una lunga fedina penale – è stato assassinato sotto casa, due anni fa, i suoi luogotenenti hanno imposto agli spettatori di svuotare la curva Nord in segno di rispetto. Chi si è rifiutato è stato preso a sberle e a spintoni: davanti ai figli, magari. Era così difficile capire che lo stadio era diventato qualcos’altro? Un quartiere fuorilegge nel cielo di Milano. Non poteva restare appeso lassù.
Un esame di coscienza devono farlo Inter e Milan. Intimorite, minacciate, ricattate: certo. Le conseguenze delle azioni dei tifosi durante le partite, per la norma della responsabilità oggettiva, ricadono sulle società. E il sostegno delle curve si sente, in campo: guai se manca. I pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Paolo Storari e Sara Ombra, parlano di «atteggiamenti variabili tra agevolazione colposa e sudditanza». Provo a tradurre: le società conoscevano il mostro, e hanno cercato di blandirlo. Ma i mostri si sfidano, blandirli non serve. La comprensione, per certa gente, è debolezza. Il compromesso, un’occasione per chiedere di nuovo e di più.
Un esame di coscienza deve farlo la città di Milano. Le cellule malate del calcio arrivano dovunque. Ci sono bar, ristoranti e locali dove l’incrocio fra musicisti strafottenti e strafatti, sottobosco modaiolo, calcio e muscoli attira i deboli e li brucia. Prendersi certi personaggi come guardie del corpo (vero Fedez?), o posare insieme nelle fotografie (vero ministro Salvini?) significa normalizzare ciò che normale non è. Di questa finzione qualcuno è pronto ad approfittare: chiedendo comprensione quando c’è poco da comprendere; ridendo quando non c’è nulla da ridere. I delinquenti restano delinquenti anche se si ammantano del fascino popolare dello sport. Anzi, meritano più disprezzo: perché imbrogliano.
Un esame di coscienza, serio e approfondito, deve farlo lo Stato italiano: le autorità sanno tutto, da anni, eppure hanno lasciato correre. Lo spiegamento di forze davanti agli stadi è un placebo e un’umiliazione collettiva: come se non avessero altro da fare, quei ragazzi e quelle ragazze in divisa. Le norme e le procedure sono inadeguate: fermi e daspo, per certa gente, sono onorificenze. Il sospetto è che tutti i governi, senza poterlo dire, pensassero: chiudiamo il problema nel catino di uno stadio, è il male minore. Errore madornale. Il male tracima, sempre.
Quello che è accaduto potrebbe segnare una svolta? È possibile. A Milano – la storia lo ha dimostrato ripetutamente – partono le rivoluzioni italiane. Speriamo accada anche oggi. Perché San Siro non è il male, e il male non è concentrato a San Siro: violenza e malaffare volteggiano intorno a tutte le squadre in tutte le grandi città.
Il governo di destra non verrà accusato d’autoritarismo, se prova a estirpare la criminalità dal calcio: gli elettori sono emotivi, ma non sono stupidi. Gli stadi potrebbero tornare a essere luoghi di festa e non covi di malavita: in Inghilterra ci sono riusciti, gli strumenti ci sono. Basta usare la tecnologia, introdurre poche norme intelligenti, applicarle e non girarsi dall’altra parte. Ogni tifoso vero, ogni dirigente serio, ogni tecnico perbene e ogni giocatore onesto non aspetta altro.