Il Post, 2 ottobre 2024
La storia di Denis Bergamini
Martedì è arrivata la sentenza di condanna per l’omicidio dell’ex centrocampista del Cosenza Donato Bergamini, avvenuto nel 1989. All’epoca il caso fu molto raccontato: perché era un giovane e promettente calciatore e perché vi furono da subito molti dubbi che si fosse trattato di suicidio, come invece stabilito inizialmente dalla magistratura. Il caso fu riaperto prima nel 2011 e poi nel 2017 grazie alla pressione di familiari ed ex compagni di squadra: si è concluso con la condanna di Isabella Internò, l’ex fidanzata del calciatore, a 16 anni per concorso in omicidio volontario. Secondo la procura, che aveva chiesto per lei una condanna a 23 anni di carcere, l‘avrebbe ucciso con l’aiuto di altre persone non ancora identificate.
Donato Bergamini, più conosciuto come “Denis”, era nato ad Argenta, in provincia di Ferrara, Emilia-Romagna, il 18 settembre del 1962. La sua carriera calcistica iniziò nei primi anni Ottanta in Serie D. Nel 1985 venne acquistato dal Cosenza che giocava in Serie C1 e che nel 1987-1988 riuscì a tornare in B dopo 24 anni di assenza. Durante quella stagione, a causa di un infortunio, Bergamini riuscì a giocare solo 16 partite, ma ricevette comunque diverse richieste da altre squadre. Il Cosenza decise però di non cedere il giocatore e di confermarlo per un’altra stagione, l’ultima della sua carriera. Bergamini giocò la sua ultima partita il 12 novembre del 1989, contro il Monza.
Quattro giorni dopo, il 18 novembre del 1989, Bergamini fu trovato morto sulla strada statale 106 Jonica, nei pressi di Roseto Capo Spulcio, in provincia di Cosenza: aveva 27 anni. All’epoca si disse che si era suicidato gettandosi sotto le ruote di un camion in corsa carico di agrumi, che lo trascinò per circa 60 metri. Le testimonianze delle persone presenti, quella della fidanzata e quella dell’autista del camion che avrebbe investito il calciatore, confermarono quell’ipotesi. Le indagini furono dunque archiviate e nel 1992 il camionista, accusato di omicidio colposo, fu assolto.
L’ipotesi di suicidio così come la ricostruzione dei fatti non venne però ritenuta credibile dai familiari, dai tifosi e dai compagni di squadra di Bergamini. Le testimonianze di questi ultimi, che erano con lui poco prima della morte, non vennero mai prese in considerazione: alcuni raccontarono che Bergamini era al cinema con loro, ma che se ne andò all’improvviso con due persone, altri che prima di andare al cinema ricevette una telefonata che lo turbò. E poi il corpo non presentava ferite compatibili con la versione del suicidio per strada, non era sporco di fango, nonostante la pioggia e le pozzanghere presenti sul luogo dell’incidente, le scarpe erano pulite e l’orologio perfettamente funzionante.
A tutto questo si aggiunse che i vestiti che il calciatore aveva indosso al momento della morte sparirono dall’ospedale e non furono mai analizzati. Soprattutto, una perizia del 1990 del medico legale Francesco Maria Avato, parlava di evirazione, tortura e sosteneva che Bergamini fosse già morto prima dell’impatto con il camion. Quella perizia, all’epoca, non fu presa però in considerazione dai magistrati.
Dopo l’archiviazione a Cosenza ebbe inizio una mobilitazione per chiedere verità e giustizia sulla morte del calciatore. Il 14 giugno del 2011 venne formalmente richiesta la riapertura dell’inchiesta e pochi giorni dopo la procura di Castrovillari acconsentì. A far cambiare idea alla magistratura furono soprattutto due nuove perizie, una del RIS (Reparti investigazioni scientifiche) di Messina e un’altra dei medici legali Roberto Testi e Giorgio Bolino, commissionata personalmente dal padre di Bergamini. Entrambe sostenevano la stessa tesi, e cioè che le ferite mortali sul cadavere di Bergamini non fossero compatibili con quelle di un impatto così violento contro un camion in corsa.
In particolare secondo Testi il corpo del calciatore era stato adagiato in precedenza sull’asfalto della statale 106. E anche i rilievi dei Ris di Messina sugli effetti personali di Bergamini non trovarono traccia del salto sotto al camion descritto dall’ex fidanzata del calciatore: le scarpe, la catenina e l’orologio di Bergamini erano rimasti pressoché intatti nell’impatto, particolare che venne ritenuto alquanto anomalo. Le due nuove perizie contenevano in effetti molte somiglianze con quella eseguita nel 1990 dal medico legale Francesco Maria Avato. Ma anche in questo caso le indagini si conclusero senza portare a nuovi sviluppi processuali.
Nel 2017 il caso fu nuovamente riaperto con la riesumazione del cadavere di Bergamini per effettuare l’autopsia, il cui esito venne depositato nel novembre dello stesso anno: i nuovi esami stabilirono che Bergamini fosse stato prima ucciso e poi gettato sotto il camion per inscenare un suicidio.
Il 15 maggio del 2013 venne notificato un avviso di garanzia all’ex fidanzata di Bergamini, Isabella Internò, indagata per concorso in omicidio volontario. Martedì è stata condannata a 16 anni. Oggi Internò ha 55 anni e continua a dichiararsi innocente. Il movente della donna sarebbe stato legato al fatto che Bergamini non aveva voluto sposarla e l’aveva lasciata quando lei era rimasta incinta.