Avvenire, 1 ottobre 2024
Intervista a Fenoglio, zoologo, sui fiumi
Da molto tempo il nostro rapporto con i fiumi è compromesso: li usiamo e ne abusiamo, ne stravolgiamo la rete e la biodiversità e ce ne dimentichiamo. Eppure sono i fiumi ad aver permesso alla nostra specie di diventare stanziali e dedicarsi all’agricoltura, a fornirci quanto necessario per soddisfare bisogni primari (sostentamento e igiene), a garantire difesa e nutrimento, a favorire l’insediamento e la formazione di grandi comunità, lo sviluppo economico, le comunicazioni commerciali. Stefano Fenoglio è zoologo e figlio dei fiumi: li frequenta fin da bambino e da decenni li studia. In occasione di Pianeta Terra Festival, domenica 6 ottobre, terrà un incontro proprio sulla lunghissima storia dei fiumi, mostrando come e perché noi dipendiamo da essi, adesso come 8.000 anni fa.
Com’è oggi il nostro rapporto con i fiumi e in cosa si differenzia dal passato?
«I fiumi sono stati l’ambiente naturale che più di ogni altro ha permesso la nascita e l’evoluzione delle società umane così come oggi le conosciamo. Noi ci siamo evoluti e tuttora viviamo in società che sono essenzialmente “idrauliche”: agricoltura, commercio, nascita di insediamenti stabili che poi si sono accresciuti sino a diventare grandi città. Per millenni abbiamo avuto un rapporto quotidiano, continuo e capillare con le acque correnti. Oggigiorno quando sentiamo parlare di fiumi è perché è in corso un’alluvione, una siccità, un inquinamento o qualche altro preoccupante fenomeno. I fiumi sono scomparsi dal nostro quotidiano per apparire solamente in occasione di calamità. Non li conosciamo più e per questo ci fanno paura, dimenticando completamente che la nostra vita (e quella di innumerevoli altre specie) dipende da loro oggi come 10.000 anni fa».
Come influisce il cambiamento climatico sui fiumi?
«Tutte le previsioni realizzate in ambito scientifico concordano nel fatto che stiamo vivendo una fase di rapido cambiamento climatico, con un impatto evidente in particolar modo sugli ambienti fluviali. I fiumi sono vere e proprie “sentinelle” del cambiamento climatico, in quanto dipendono direttamente dall’andamento delle precipitazioni e dalle temperature, e quindi dai processi di evaporazione. L’aumento delle temperature e la riduzione/estremizzazione delle precipitazioni stanno attualmente alterando le portate, ossia la quantità d’acqua che scorre negli alvei fluviali, e si stima che la situazione peggiorerà nel futuro. Stiamo assistendo a una vera e propria esasperazione degli estremi, laddove brevi e violente alluvioni si alternano con lunghi mesi in cui l’acqua superficiale è scarsa o addirittura assente. Questo rapido cambiamento causa impatti che sono tanto poco noti quanto potenzialmente drammatici. Ad esempio, è indicativo il fatto che durante ogni siccità quello che colpisce l’opinione pubblica è l’aspetto legato alla quantità dell’acqua: mancano le precipitazioni, l’acqua nei fiumi scarseggia o addirittura sparisce dall’alveo per lunghi tratti e immediatamente noi pensiamo a questo aspetto del fenomeno. Ma le siccità hanno anche un impatto, meno noto ma altrettanto pericoloso, sulla qualità dell’acqua: meno acqua nel fiume significa una mancata diluizione e metabolizzazione dei reflui che escono dai nostri impianti di depurazione, con il risultato che agenti microbiologici (come la Salmonella) o sostanze tossiche potenzialmente pericolose risultano molto più presenti e diffuse sul nostro territorio durante i periodi di carenza idrica».
La risorsa “fiumi” è la stessa in Italia che nel resto del mondo o ci sono luoghi in cui il rapporto con i fiumi è ancora virtuoso come un tempo?
«Purtroppo i fiumi sono considerati gli ecosistemi più minacciati a livello globale, per le pressioni congiunte di fattori che agiscono a scala globale (il cambiamento climatico) e locale (le attività antropiche). La nostra avidità e la nostra crescita esponenziale stanno alterando la naturalità di questi ecosistemi in tutto il mondo. I fiumi più inquinati del pianeta si trovano per lo più in Asia, come il Gange, il Citarum, il Buriganga e il Fiume Giallo ma esempi di sistemi fluviali alterati li troviamo ovunque, in ogni continente. In Italia, anche se per alcuni versi la situazione è migliorata per la diffusione degli impianti di depurazione e l’adozione di norme anti-inquinamento più stringenti, si trovano ancora esempi drammatici, come il Lambro, il Tevere e specialmente numerosi fiumi del Meridione: il Sarno ad esempio è lungo solamente 25 chilometri ma è inquinato sin quasi dalla sorgente, per l’immissione incontrollata degli scarichi civili e industriali, facendo registrare valori di Cromo e PFAS rispettivamente tre e ottomila volte superiori ai limiti. Le iniziative a livello locale possono essere importanti: città come Londra e Parigi, ma anche Lione, hanno varato negli ultimi decenni imponenti programmi di recupero ambientale e di sensibilizzazione inerenti i loro fiumi, diventando o meglio ritornando ad essere centri urbani che “vivono” le loro acque, con locali, battelli, iniziative culturali e turistiche che gravitano proprio su questi elementi».
L’importanza dei fiumi non è solo in rapporto alla storia dell’umanità ma anche alle specie animali e alla vegetazione. Come sono cambiate le cose negli anni su questo tema?
«I fiumi sono ambienti importanti dal punto di vista della ricchezza biologica: pur coprendo una percentuale della superficie del pianeta inferiore all’1%, le acque correnti ospitano dal 6 al 9% della biodiversità complessiva. Si dice che esistano più specie di pesci nel reticolo del Rio delle Amazzoni che nell’Oceano Atlantico. Questo perché la diversità biologica è legata alla diversità morfologica e di habitat, e anche in questo contesto i fiumi sono ambienti caratterizzati da una impressionante varietà. Dal punto di vista evolutivo i fiumi hanno favorito la differenziazione delle forme di vita in modo unico, tanto che sono probabilmente tra gli ambienti più ricchi del pianeta. Tutelare i fiumi significa tutelare questo patrimonio».