Il Messaggero, 1 ottobre 2024
Intervista a Eddy Merckx su Pogacar
Eddy Merckx, il corridore più vincente della storia del ciclismo con 445 successi su strada, pedala verso gli ottanta anni: li compirà a giugno. È in fuga da una seria complicazione che aveva fatto temere tutti all’inizio della primavera, con ricovero d’urgenza e risalita faticosa. «Ho ancora qualche problema, ma passa...» racconta dalla sua casa non lontano da Bruxelles. Va ancora in bici, «ho ripreso, quando non piove esco. Cinquanta-sessanta chilometri me li concedo». Ha appena visto Tadej Pogacar fare una cosa alla Merckx, appunto. Il tris Giro, Tour e Mondiale, domenica, vinto peraltro con una fuga da 100 chilometri.Eddy, al giornale francese L’Equipe domenica sera ha detto a caldo: “Pogacar adesso è più forte di me. Lo pensavo da un po’, ora non credo ci siano dubbi"«L’ho detto, sì. Ma non lo so davvero se sia così. Difficile fare paragoni, sono epoche diverse. Io non mi paragonavo a Coppi, ad esempio, anche se si facevano i raffronti. Adesso è così, ma vediamo alla fine della carriera dove è arrivato»Ma allora perché ha detto che Pogacar sarebbe più forte?«Perché io in un Mondiale non ho mai fatto una impresa come la sua»Ma le fughe sì: ci fu un suo Giro delle Fiandre entrato nella storia.«Certo, ma non in un Mondiale»C’è stato un momento in cui dietro lo sloveno, sul circuito di Zurigo, gli inseguitori erano arrivati sotto i 50 secondi di distacco. Che cosa è mancato ai suoi avversari?«Invece di pensare tutti ad arrivare secondi, dovevano mettersi a tirare per andare a prenderlo. E una volta preso, pensare a vincere»Forse serviva tra di loro un corridore di personalità.«Da soli è difficile andare a chiudere il buco... E non dimentichiamo che davanti c’era Pogacar, appunto».Cosa si pensa in quei momenti in fuga, con le praterie davanti e gli avversari dietro?«Si pensa solo alla corsa. A pedalare a tutta. Con un imperativo: arrivare al più presto all’arrivo»Come ci si gestisce in quei momenti? La cotta, come si dice, la crisi di fame è il grande incubo: quando arriva è la fine.«Era diverso rispetto ad ora. Si andava a sensazioni più che altro, adesso ci sono studi modernissimi nell’alimentazione: per questo dico che non si possono fare raffronti, sono passati 50 anni dal mio Mondiale».Ci pensa a come sarebbe stato Merckx con tutte le conoscenze attuali in termini di alimentazione, preparazione, tecnologia?«Ci penso eccome. Ecco perché dico che i paragoni non reggono».Lei cosa mangiava durante le fughe-fiume?«Un pezzo di crostata, di torta di mele, zucchero... queste cose qui. Non c’era la dieta specifica come oggi»Aveva paura di rimanere a secco di energie? Riusciva a interpretare il suo fisico?«Non ne ho avute tante, di cotte, ma le ho sofferte anche io e me le ricordo»Giro, Tour e Mondiale: lei fu il primo a vincerli nella stessa stagione. E dopo c’è stato solo Roche prima di Pogacar. Si rese conto nel 1974 dell’unicità dell’impresa?«Sinceramente no. Non c’erano precedenti e non si facevano questi discorsi. E poi quel giorno non pensavo di poter vincere. Era stata una stagione pesante, con il Giro d’Italia e poi il Giro di Francia. E avevo fatto anche quaranta circuiti (le corse a ingaggio fuori dal calendario principale, ndr) in mezzo. Correvamo quasi tutti i giorni».Quante giornate di gara metteva insieme negli anni d’oro?«Mah, un anno contai 190 giorni di corsa, comprese le Sei Giorni su pista. Adesso i corridori arrivano a ottanta, hanno il vantaggio di poter scegliere come e dove correre. In media, durante la mia carriera ho fatto ogni anno 150 giorni di gara».Gli altri giorni si allenava, ovviamente.«Beh, certo».E quando riposava?«La notte....»È un periodo comunque di grandi corridori. Ci sono altri in grado di fare un’impresa alla Pogacar?«Sì, Van der Poel o Evenepoel credo che abbiamo la possibilità di realizzare una grande fuga come quella di Pogacar».E il tris Giro, Tour e Mondiale?«No, non credo. Magari Evenepoel, ma deve crescere ancora un po’ in salita. È arrivato terzo al Tour, vuol dire che ha tenuto tre settimane, è già una buona base»Che cosa le piace di più di Pogacar? Forza, coraggio, gestione...«Tutto, anche lo stile di corsa. È di un altra categoria, ha fatto qualcosa di incredibile di cui ci si ricorderà a lungo. E mi piace anche come ragiona».Ovvero?«Non è spaccone, non fa proclami».Cosa direbbe ora a Tadej?(ride) «Formidabile, semplicemente. Cosa vuoi dire a uno così: tanti complimenti...».Dove può arrivare ancora?«Beh, è difficile fare di più di quanto ha fatto».Quanto è complicato trovare nuovi stimoli dopo una stagione così?«Non credo che avrà difficoltà».Lei era il Cannibale perché si prendeva tutto. Ma i suoi avversari cosa le dicevano? Lascia qualcosa anche a noi?«Eh eh... sarà ciò che in questo momento dicono i rivali a Pogacar. Io avevo Gimondi, De Vlaemick, Zoetemelk... Ma non mi dicevano niente, cercavano solo il modo per battermi».