Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  ottobre 01 Martedì calendario

Intervista al procuratore Melillo sulle curve

«Questa indagine costringe ad aprire gli occhi sulla realtà. Bisogna smettere di fare finta di niente, smettere di girare gli occhi dall’altra parte davanti alla penetrazione criminale nel mondo del calcio». Parola di Giovanni Melillo, capo della Procura nazionale antimafia.
Procuratore, quanto è profonda la penetrazione della criminalità nelle curve? La retata compiuta in queste ore rivela aspetti sconcertanti.
«Il mio uffico, la Dna, ha aperto da tempo una attività di analisi su queste realtà, con un gruppo di lavoro specializzato, e il quadro che ne emerge viene confermato dalla indagine milanese in tutta la sua gravità. Siamo davanti a una deriva criminale negli stadi, a una mutazione di settori del tifo in cui ormai la passione calcistica è irrilevante, l’obiettivo è fare soldi e massimizzare il profitto. Le intercettazioni di Milano raccontano bene come i capi della curva il calcio interessi poco».
Come valuta il comportamento di grandi club come Inter e Milan davanti a questa penetrazione?
«Le squadre di serie A sono aziende, e il rapporto tra aziende e fenomeni criminali è da sempre un tasto critico. Spesso il comportamento delle società può assumere forme di acquiescenza se non di agevolazione. Io auspico che quanto è emerso rafforzi nelle squadre la consapevolezza di dover attuare modelli organizzativi in grado di impedire queste commistioni. È indispensabile andare oltre la visione del passato secondo cui la sicurezza negli stadi passava anche da una logica di negoziazione sotterrane con il tifo violento e organizzato».
Tutte le squadre di A sono nel mirino?
«Non solo loro, purtroppo. Il problema della penetrazione criminale non riguarda solo le grandi squadre. Anche nel calcio minore c’è un intreccio mafioso che riguarda i piccoli club non solo del Meridione ma anche del Nord Italia. Lì gli appetiti non riguardano il volano economico di un grande stadio come il Mezza, la penetrazione imprenditoriale serve da traino per altri obiettivi affaristici».
Le due curve di San Siro quindi non sono un caso isolato, insomma.
«La deriva criminale che emerge dall’indagine della Procura di Milano discende da componenti mafiose che sono presenti anche in altri stadi. Io prima di arrivare alla Dna ero procuratore della Repubblica a Napoli e anche lì si coglieva la gravità di una situazione in grado di condizionare la vita dei tifosi normali che vanno allo stadio, il cui unico desiderio è vedersi la partita. Sarebbe ingiustificato affermare che gli ultras sono tutti criminali ma è chiaro che c’è nel mondo ultras una componente non secondaria che si pone con modalità criminali. C’è una dose di violenza, un clima di paura dentro gli stadi cui ci siamo assuefatti un po’ troppo facilmente».
Negli stadi se ne vedono e sentono di tutti i colori, in effetti.
«Negli stadi è stata sdoganata la propaganda suprematista, antisemita e razzista. In più occasioni le due componenti criminali, quella legata alla malavita organizzata e i gruppi politicizzati, si alimentano a vicenda. Ripeto: smettiamo di fingere di non sapere quanto è sotto gli occhi di tutti, questa indagine ci costringe a interrogarci sul punto cui siamo arrivati. Ma manda anche un segnale a tutto il mondo del calcio, dimostrando l’efficacia della risposta dello Stato».