la Repubblica, 1 ottobre 2024
Intervista a Clelia Sessa, unica donna nel team Luna Rossa
Una Coppa America da fantascienza. Ma molto maschia. Da 173 anni sotto il vestito della Coppa America solo uomini. Eppure le donne veliste esistono: campionesse mondiali, olimpioniche, navigatrici solitarie, grandi skipper. Un equipaggio misto sarebbe possibile, se ci fosse un po’ di vento favorevole alle donne. Nel team di terra di Luna Rossa Prada Pirelli una ce n’è: Clelia Sessa, 26 anni, piemontese, sponda occidentale del Lago Maggiore.Clelia, di cosa si occupa?«Sono nel reparto di meccatronica. Il mio team lavora sulla progettazione, sul testing e sulla gara, gestiamo i sistemi che uniscono idraulica ed elettronica, lavoriamo su software e hardware, trattiamo anche biciclette, flaps, foil e timone. È un lavoro impegnativo: inizia prima di mettere lo scafo in acqua, continua durante la gara e poi quando la barca rientra in tenda. Salviamo i dati, li controlliamo, ci occupiamo del quotidiano e dell’eccezionale con lo scopo di ottenere miglioramenti. A me piace andare in barca, ho iniziato a cinque anni con mio padre, il comandante de Il Moro di Venezia, e ho gareggiato negli Optimist».È mai salita su Luna Rossa?«Purtroppo no. Mi piacerebbe moltissimo, ma non è una barca dagita, non ha spazio per gli ospiti. Questi tipi di scafi gli Ac75 non sono da crociera e se devo dirla tutta io più che da salsedine sono una donna da lago. L’anno prossimo voglio fare i mondiali in classe Moth sul Garda».Come è stata accolta nel gruppo?«All’inizio ho fatta fatica, ero la più piccola. Ora nel mio dipartimento ci sono altri giovani e io sono riuscita a costruire un rapporto di fiducia. Non c’è solo una questione di genere, ma un problema generazionale, da parte dei grandi c’è sempre un po’ di diffidenza: ti mettono alla prova, voglio vedere quanto sei disposta ad imparare. Non sopporto essere considerata una raccomandata da quota rosa, non lo sono, mi sono impegnata, ho lasciato casa, sono nel team perché svolgo una funzione, non per seguire un passatempo».La Coppa America sembra poco inclusiva.«È la competizione più vecchia del mondo, in tutti i sensi. Senza giochi di parole, un po’ di vecchiume c’è. Culturalmente fa fatica a uscire da una certa ottica, ma non esiste nessuna controindicazione alla partecipazione femminile. Caterina Banti sul Nacra 17 nell’equipaggio misto con Ruggero Tita lo ha dimostrato con due ori olimpici facendo un favore a tutte noi ragazze. Lei è il mio idolo, ha rotto una barriera sportiva e ci ha facilitato la vita, ricoprendo in barca un ruolo che in genere è maschile. Ricordo che da quest’anno si disputa la Puig Women America’s Cup, su barche simili ma più piccole, gli AC 40, e anche la Youth America’s riservata ai giovani».Il complimento più bello ricevuto?«Mi dicono: ‘Sopporti tutto’. Ma io qui non ho niente da perdere, solo da dare. Come reggo allo stress feroce di una gara così, dove devi risolvere problemi e rotture? Con una concentrazione altissima e con un distacco emotivo. Vorrei rimanere in questo mondo, aprire un mio laboratorio, sviluppare progetti, mai come ora la vela è aperta a soluzioni originali e a nuovi ruoli».È fantascienza una donna timoniera o trimmer su Luna Rossa?«Bisogna aspettare solo un po’, ma il tempo delle donne è arrivato anche sui bolidi del mare. Ce ne sono di bravissime con cui farei regate e attraverserei gli oceani senza paura».