Corriere della Sera, 1 ottobre 2024
Racconto di un litigio tra giovani calciatori
Il mattino della domenica è luminoso e il prato del campo di periferia di un verde acceso. La brace è già pronta per il raduno culinario fra genitori e ragazzi della squadra allievi (quindici e sedici anni) per il post partita. Gli avversari sono tosti, smaliziati, giocano anche con espedienti quasi da professionisti. Io sono lì, in tribuna e penso: dai ragazzi, forza, un po’ di energia, di vigore! In area mio figlio quindicenne battibecca con il suo marcatore, un po’ troppo affettuoso. Viene spinto e poi gli sputano in faccia (i suoi compagni diranno che in precedenza mia moglie era stata oggetto di aggettivi non riportabili). Lui cade nel tranello e reagisce tirando un pugno. Hai sbagliato a reagire così, gli avrei detto nel dopo gara: «Stavano arrivando ad accerchiarmi», la sua risposta. In quattro lo assalgono, trattenendolo per le spalle con dinamiche consolidate e non improvvisate. Riesce a divincolarsi da solo, mentre l’arbitro (un coetaneo) lo espelle insieme a un solo avversario. Dopo la partita, qualche genitore o sostenitore dell’altra squadra nell’avvicinarsi si scusa per quello che ha visto in campo. I ragazzi invece, quando escono dagli spogliatoi fumando, con fare arrogante continuano a provocare anche noi adulti. Il padre del «capetto» (espulso anche lui nel secondo tempo) ferma il figlio, per convincerlo a chiedere scusa, ottenendo come risposta soltanto una minaccia: voglio l’indirizzo di quello lì, così poi lo andiamo a cercare. Lo sproloquio è continuato anche davanti agli allenatori. In sintesi: chi si mette contro di noi, la paga. Ho avuto un sentimento misto fra la malinconia e la pena per quel genitore gentile e pacato che cercava di convincere suo figlio a chiedere scusa. Lo guardavo e mi dicevo che aveva perso la sua partita. Io tanto tempo fa ho avuto una conversione, ho razionalmente voluto essere diverso, ma a volte il nocciolo duro si fa ancora sentire. Sono stato sul punto di chiedere a quel papà se volesse dargliela lui o gliela dovevo dare io una bella sberla. Forse avessi risposto al primo impulso, avrei fatto una cortesia a entrambi, ma sono cambiato e la mia parte zen mi ha aiutato. Nel nostro calcio, già pieno di problemi, ora c’è il rischio che si insinuino quei gruppi di bulli, il famoso branco che spesso terrorizza le serate degli adolescenti con furti, violenze o estorsioni. Penso che allenatori, dirigenti, genitori del calcio giovanile e dilettantistico (quello più vulnerabile) devono stare in allerta: cerchiamo di capire in tempo quando si sviluppano dinamiche come questa, e fermiamo questa deriva, prima che sia troppo tardi.