Libero, 30 settembre 2024
Primo trapianto di cuore e fegato in blocco
Cuoreefegato. Che andrebbe scritto proprio così, tutto attaccato, in blocco, come se fosse un unico organo: perché non è un semplice “doppio trapianto”, quello avvenuto nei giorni scorsi all’ospedale Molinette della Città della salute di Torino, in Piemonte. Non è neanche un intervento ordinario, un’operazione di routine. È, semmai, un trapianto da record (nel senso che in Italia non s’era mai fatto prima e in Europa nemmeno e negli Stati Uniti di casi accertati ce ne sono risicate manciate). Raro. Rassimo. Epperò salvapelle.
MEDICINA SALVAVITA
La medicina è così, dopotutto. È scienza applicata. È studio e anche esecuzione. È eccellenza (e noi italiani, sotto questo aspetto, non dobbiamo temere il confronto con nessuno). È che se davanti hai una ragazza (sissignori, si è ancora ragazze a 38 anni) cardiopatica che si è già sottoposta più volte a operazioni al cuore e che, a causa di una malattia cardiaca malformativa accusa un danno sempre più severo anche un po’ più in giù, al fegato, fai di tutto per farla stare meglio. Tenti anche l’intentato.
Lei, la paziente, originaria di Roma, iscritta nella lista nazionale dei trapianti urgenti (quella gestita dal Centro nazionale trapianti), per la gravità delle sue condizioni non poteva aspettare più. Prima le indagini emodinamiche del cardiologo pediatrico Giuseppe Annoni (all’ospedale infantile Regina Margherita, ancora a Torino); poi la diagnosi dell’ematologia Silvia Martini (alle Molinette): e infine quella speranza, accesa nell’esatto istante in cui si è trovato un donatore idoneo, in breve tempo, dalla Lombardia e, che in quello che dev’esser stato un momento terribile per la sua famiglia, è riuscito a fare il regalo più generoso che ci sia, tra l’altro doppio, per entrambi gli organi assieme.
È qui che il trapianto di Torino passa dal “miracolo” al “miracolo apripista” (sempre viva l’innovazione che ci allunga la vita): ha mantenuto, infatti, la normale (e quindi naturale) connessione del cuore col fegato. Un intervento che sono due interventi e che, però, come abbiamo spiegato, è un intervento solo. Con una serie di vantaggi che secondari non lo sono: tempi di sofferenza ischemica degli organi prima di essere trapiantati minimizzata e ripresa della loro funzione nel post operatorio migliore. Hai detto niente.
Certo, non è stata una passeggiata. Ma in sala operatoria non lo è mai. In questa vicenda le équipe col camice bianco coinvolte sono state addirittura tre: due in Lombardia (quella del prelievo del cuore e quella del prelievo del fegato), che hanno lavorato fianco a fianco sul donatore; e una multidisciplinare (formata sia da cardiochirurghi che da epatochirurghi) in Piemonte, che ha preparato la paziente e l’ha seguita passo passo per dodici ore di fila senza mai perderla di vista un secondo. Parole d’ordine: collaborazione e sincronizzazione perché in ballo c’era una “maratona”, sì, ma di quelle che fanno la differenza.
Sorridono soddisfatti, oggi, con la mascherina ancora calata sul collo, il professor Mauro Rinaldi delle Molinette (è lui, col suo team, che ha isolato e asportato il cuore malato della 38enne) e il professor Renato Romagnoli (che, nello stesso istante, assieme al dottor Paolo Strignano, era impegnato a rimuoverle anche il fegato). La ragazza romana, nel frattempo, era mantenuta in vita con la circolazione extra-corporea che veniva assicurata dalla macchina cuore-polmoni. Messo in questi termini, d’accordo, sembra fantascienza: invece no, è solo scienza. E di quella che ci fa star bene.
INTERVENTO INNOVATIVO
Gli altri artefici di questo trapianto eccezionale (nel vero senso della parola considerato che, stando alle statistiche odierne, è un’eccezione) sono Giacomo Maraschioni (Cardiochirurgia) e Damiano Patrono (Chirurgia del trapianto del fegato): loro hanno fisicamente prelevato il “blocco” cuoreefegato che è stato poi trasportato con ogni cautela fino alla sala operatoria. L’intervento, ed è ciò che conta, si è concluso con successo: la 38enne si è svegliata dall’anestesia, è lucida e respira autonomamente. È ricoverata, ovvio, in Intensiva cardiochirurgica (per la prosecuzione delle cure e in attesa di essere trasferita in degenza): non sarà una bazzecola nemmeno la riabilitazione, ma è andato tutto bene. «Questo trapianto innovativo conferma l’eccellenza a livello internazionale della nostra azienda ospedaliero-universitaria», dice il dottor Giovanni La Valle, che è il direttore generale della Città della Salute di Torino, il quale parla di un «nuovo e importante traguardo per una cura sempre più efficace di pazienti gravemente malati».