il Fatto Quotidiano, 30 settembre 2024
Fischiare ha cambiato di significato
“Canto quel motivetto che mi piace tanto e che fa dudu dudù…”. Vi ricordate questa canzoncina? Esprimeva tutto il piacere di canticchiare un motivetto noto. Una volta si fischiettava, ci si svegliava con una canzone in testa e si andava in giro zufolandola. Quel fischietto era sinonimo di serenità, la celebrazione minima di un attimo scevro da pensieri e preoccupazioni. Addirittura fino agli anni ‘50 alla radio, e prima ancora all’ EIAR, esisteva la figura professionale del fischiatore. Era un mestiere, proprio come suonare il violino o la tromba. Insomma un altro strumento dell’orchestra. Ennio Morricone chiamò un fischiettatore per il suo celeberrimo film Per un pugno di dollari. Era il maestro Alessandro Alessandroni che alcuni anni dopo dichiarò: “Mi telefonò Ennio Morricone e mi disse Sandro vieni un momento in sala che c’è da fare solo una fischiatina, nulla di più. Pensate a cosa è successo dopo.
La fischiatina diventò la protagonista della colonna sonora di quel capolavoro!”. Oggi però il fischio è diventato sinonimo di disapprovazione o addirittura di totale bocciatura. Uno spettacolo che non piace viene fischiato; fischio diventa sinonimo di fiasco, almeno da noi, perché in America invece il fischio va di pari passo con gli applausi, e in Italia noi non capiremo mai il perché. E allora, il fischio è buono o cattivo? Per quanto mi riguarda, anche se con qualche stonatura, appena posso fischietto volentieri, e se qualcuno scambia quel piccolo trillo delle mie labbra per una critica o un giudizio morale, io non ci faccio caso e continuo il mio concertino senza vergogna. Chissà come avrebbe reagito il maestro Alessandroni se si fosse trovato allo stadio in mezzo a una folla di fischiatori incazzati; forse avrebbe attaccato Per un pugno di dollari ( il calcio senza soldi non esisterebbe) e lo stadio di colpo si sarebbe ammutolito.