Corriere della Sera, 30 settembre 2024
La corsa a ostacoli di Carlos Tavares
Carlos Tavares, il ceo di Stellantis, aveva riassunto in poche parole la visione del mondo a fondamento della sua metodologia. «Prenderò le decisioni necessarie nel modo più umanistico possibile». Tavares potrebbe considerarsi un sostenitore della teoria darwiniana, secondo cui tutte le specie viventi derivano dalla selezione naturale di piccole caratteristiche ereditarie, che consentono all’individuo di incrementare le sue abilità, per competere, sopravvivere e riprodursi. Certo, la sua esperienza in Stellantis si è rivelata diversa dalle aspettative tanto che rischia di fare ombra alla sua lunga carriera nell’industria dell’auto.
Nel 2014 Tavares si ritrovò alla testa di Psa, dopo un difficile addio a Renault, dove era arrivato nel 1981, per poi seguire il suo mentore – diventato poi rivale – Carlos Ghosn, che nel 2004 lo portò in Giappone a occuparsi di Nissan. Considerato austero, preciso, puntiglioso, esigente, autoritario, ma anche fragile e solitario, in Psa Tavares si trovò a essere il numero uno, e portò una visione intercontinentale. All’epoca il gruppo ragionava su un rilancio, dopo che la famiglia Peugeot e il gruppo cinese Dongfeng avevano raggiunto un accordo sulle modalità dell’aumento di capitale, attraverso il quale anche lo Stato francese entrò in Psa. I due costruttori, legati in Cina dagli anni ‘90, sarebbero stati finalmente in grado di esplorare altri mercati, in Asia, e creare, insieme, una piattaforma per veicoli a basso costo.
L’obiettivo del manager era evitare che Psa potesse ricadere nella situazione di crisi, risolta nel 2012 con l’ingresso dello Stato francese e del costruttore Dongfeng. Tavares riuscì nel miracolo di rilanciarla, pur a marce forzate, sempre con uno stile manageriale rigoroso ed esigente nei confronti dei collaboratori. A quel tempo si definiva «uno psicopatico della performance», orgoglioso di aver smentito lo scetticismo sul suo piano strategico.
Il paradigma OpelAllora, come oggi, Tavares era convinto che il settore automobilistico avrebbe conosciuto un’evoluzione, con i costruttori più deboli destinati a scomparire o a diventare prede come Opel, il brand offerto proprio alla Psa di Tavares su un piatto d’argento da Mary Barra, capo di General Motors, che voleva liberarsene il più velocemente possibile dopo vent’anni di risultati negativi. Tavares riuscì a posizionare nuovamente il marchio.
Questo momento magico del manager portò anche John Elkann a vedere in lui un possibile successore di Sergio Marchionne, benché le personalità dei due dirigenti fossero molto distanti. Da qui nacque un’intesa tra le famiglie Peugeot e Agnelli e Tavares capì che forse era arrivato il momento giusto per un’aggregazione. A Psa non bastava l’Europa mentre gli Agnelli cercavano un partner industriale per Fiat Chrysler. Nacque così Stellantis, un collage di marchi, culture e tecnologie diverse, che spaziavano tra Francia, Italia e Detroit. La creazione di Stellantis segnò anche l’ingresso di Tavares nel gotha dei ceo dei colossi dell’auto, in linea con le sue ambizioni personali.
Ma anche a un manager esperto può capitare di uscire di strada. Convinto che il mercato americano generasse valore, vi si è buttato a capofitto, salvo poi constatare l’accumulo di auto invendute nei parcheggi delle fabbriche e dei concessionari. Nel frattempo, da circa due anni, marchi come Jeep, Ram,Chrysler e Dodge avevano ceduto quote ai concorrenti.
Con l’offensiva negli Stati Uniti, Tavares probabilmente pensava di riuscire a mantenere un margine operativo a due cifre per il gruppo, benché i risultati del 2022/2023 dessero altri segnali, con gli analisti che ormai puntavano solo al 9,8% di ebitda.Il manager portoghese è stato anche accusato di aver tagliato troppo i costi, rallentando lo sviluppo di nuovi prodotti, con una gamma che ormai presentava diversi vuoti. Le Jeep Cherokee e Compass non sono state sostituite, si sono ridotti i modelli di grandi volumi. Non è mancato anche il biasimo del capo del sindacato Usa, Shawn Fain, che ha criticato la gestione di Tavares, minacciando un nuovo sciopero in caso di violazione della promessa di riaprire la fabbrica di Belvidere, nell’Illinois.
Tavares ha chiesto pazienza, qualità che gli è sconosciuta. Diversi segnali indicano che ha premuto troppo sull’acceleratore. I concessionari francesi gli hanno chiesto di abbassare i prezzi, ma solo a crisi conclamata Tavares ha accettato di riposizionare i vari marchi. Il suo approccio al prodotto viene considerato da alcuni osservatori troppo ingegneristico, orientato a privilegiare le questioni dei costi e delle sinergie alle esigenze del marketing e del mercato. Per risollevare i risultati di Stellantis e riconquistare la fiducia dei consumatori, Tavares ha messo sotto pressione i dirigenti; al mancato raggiungimento degli obiettivi potrebbero seguire riorganizzazioni dell’organico e licenziamenti.
La fusione con Fiat Chrysler non si sta insomma traducendo nel salto sperato, mentre il rilancio di Jeep stenta. Anche i rapporti con il governo italiano si sono deteriorati e il progetto di costruire una gigafactory a Termoli, nel sud Italia, è arenato. Inoltre Tavares è accusato di svantaggiare l’Italia nelle scelte industriali, a vantaggio di altri Paesi come la Serbia, la Polonia o il Marocco.
Il clima intorno a Tavares si sta così surriscaldando. Gli azionisti hanno messo sotto la lente anche il suo salario che, se nel 2021 era stato di 19,2 milioni di euro, è salito l’anno scorso a 36,5 milioni di euro. Una remunerazione considerata eccessiva da diversi suoi oppositori, tanto che nell’ultima assemblea dei soci di Stellantis in molti hanno votato contro questa proposta.
La successioneNon stupisce allora che il consiglio di amministrazione di Stellantis, presieduto da John Elkann, abbia deciso di avviare la ricerca di successore. Senza Tavares, molto potrebbe succedere, a partire dal coinvolgimento nella partita di Renault. Il governo francese detiene quote sia in Stellantis che nella casa della Losanga, per cui non si può escludere che avvenga una fusione tra le due case.
Ne nascerebbe un gruppo europeo forte che potrebbe ostacolare l’offensiva cinese sull’auto in Europa. Nel caso, a capo del nuovo colosso potrebbe andare un italiano, Luca de Meo, che oggi ricopre il ruolo di ceo di Renault e di presidente dell’Acea, l’associazione dei costruttori europei di auto. A quel punto anche l’industria dell’auto italiana potrebbe sperare di ripartire.