Corriere della Sera, 30 settembre 2024
La prima Ai 80 anni fa per i videogiochi
Le prime intelligenze artificiali? Vennero create a cavallo tra gli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, quindi ancor prima che venisse coniata la locuzione «intelligenza artificiale» nella conferenza di Dartmouth del 1956. Non servivano per esperimenti sull’energia atomica né per svelare i segreti dell’universo: le tre Ai ante litteram, semplici (con lo sguardo di oggi) programmini fatti girare sul supercomputer (di allora) dell’università di Manchester, erano il cuore pulsante di altrettanti videogiochi. Dama, scacchi e una versione del gioco di matematica Nim, con quest’ultimo «algoritmo» che era capace di battere anche i giocatori umani più preparati. I videogiochi sono un terreno di sperimentazione di nuove tecnologie, anzi il concetto vale anche se lo si ribalta: i videogiochi sono nati (anche) come forma di sperimentazione scientifica. Tennis for two, antenato del Ping Pong dell’Odissey (prima console, 1972) e di Pong (il famigerato titolo Atari del 1973), venne creato nel 1958 da Willy Higinbotham per spiegare in modo interattivo le sue lezioni di fisica. Un primo assaggio dei cosiddetti «agenti intelligenti», software capaci di conversazione e decisioni autonome, lo avremo nel 2025 con il gioco Mecha Break. Grazie al software Ace sviluppato da Nvidia – l’azienda catapultata ai vertici delle borse mondiali per l’alta resa dei suoi chip, nati dai videogiochi e perfetti per far «girare» software di Ai —, un assistente digitale seguirà il giocatore nel corso dell’avventura per aiutarlo, rispondere alle sue domande in una conversazione in tempo reale, interagire se – attraverso la webcam – legge perplessità o divertimento nel volto di chi sta giocando. Un piccolo compagno di giochi, dalle capacità limitate, ma che è in grado di farci immaginare un futuro. Un futuro tutto da decifrare – ed eventualmente giudicare —, fatto di relazioni quotidiane anche con «persone» non necessariamente umane.