Libero, 29 settembre 2024
I pescatori sono sempre meno
L’uscita con la barca in piena notte: quando è buio pesto, magari quando anche il mare è gelido e le onde sembrano minacciose. Non si rischia mai più del necessario: però, d’altro canto, è lavoro; e il lavoro è stipendio e lo stipendio è possibilità di far campare una famiglia. Un paio d’ore di navigazione, dipende dal tipo di pesca: le giacche a vento chiuse fino al collo, gli stivali impermeabili al ginocchio, le reti che se si bucano vanno riparate a mano, la pelle dura e la scorza ancora di più, una pazienza infinita, da marinaio. Le calate. Lo smistamento dei pesci. La loro pulitura. Le cassette di polistirolo col ghiaccio per mantenerne la freschezza fino al mercato. Sposta quello, alza quell’altro, chi è taciturno e chi lo diventa, sempre le stesse facce, su una barca, pure piccina, sei giorni su sette, fuori dal molo, un mondo a parte, galleggiante, ore libere a disposizione assai pochine.
La dura vita del pescatore che i giovani non vogliono più fare. Un po’ De André, un po’ (soprattutto) Il vecchio e il mare: nel senso che appena il 9% (quindi meno di uno su dieci) dei marinai imbarcati sulla flotta peschereccia italiana ha meno di trent’anni. Manca un ricambio generazionale, mancano gli incentivi (anzi: quelli europei sembrano “remare” addirittura nella direzione opposta, dato che negli ultimi anni molte decisioni di Bruxelles hanno finito per penalizzare il settore anziché dargli ossigeno); di contro c’è una crescente dipendenza dall’estero per quanto riguarda gli approvvigionamenti di tonni, merluzzi e gamberi (in quarant’anni è rimbalzata dal 30% alla percentuale monstre dell’85%) e abbondano gli appesantimenti burocratici.
Non è una fotografia incoraggiante quella che Coldiretti Pesca presenta nell’ultimo giorno del G7 sull’Agricoltura di Siracusa, in Sicilia. Al molo Zanagora è allestito un vero e proprio villaggio di pescatori (secondo stime recenti la pesca dà lavoro a circa 36mila persone in Italia, per una flotta di poco inferiore alle 12mila unità: anche se, ironia della sorte, il nostro consumo di pesce cresce con percentuali a doppia cifra), ci sono incontri e degustazioni.
Coldiretti ricorda «il piano della Commissione Ue di vietare la pesca a strascico, che rappresenta in termini di produzione ben il 35% del pescato nazionale». Aggiunge che «se nei mari italiani si pescano 130 milioni di chilogrammi di pesce all’anno, dall’estero ne arrivano oltre 780 milioni» (sia di fresco che di congelato). Ammonisce sulla «necessità di potenziare i sistemi locali della filiera», che vuol dire «creare nuove opportunità di lavoro», coinvolgere attività come quelle dell’ittoturismo e «investire sulla formazione».
Sempre meno giovani pescatori, in un Paese con 8.300 chilometri di costa, non è una buona notizia. L’ha capito, tuttavia, e per fortuna, il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida (Fdi), che ammette sia «necessario sostenere le comunità di pescatori tradizionali. La prima cosa da fare per i giovani potenziali agricoltori e pescatori è far capire che queste non sono attività da sfigati. Che non sono l’ultima spiaggia per chi non sa fare altro». «È prioritario», chiosa Lollobrigida, «per la presidenza italiana, sostenere i pescatori nel loro ruolo di custodi degli ambienti acquatici e delle risorse naturali».
Perché sì, è vero, verissimo, che un pescatore che fatica tutta una vita al largo, che per decenni si barcamena con la stessa routine che è sacrificio e alzatacce, che forse ha fatto i salti mortali per comprarsi un’imbarcazione di proprietà, che va avanti per passione in un mestiere, preziosissimo, che è ancora molto manuale (la tecnologia è arrivata anche in mare aperto, ma non ha stravolto le dinamiche come in altri campi), ecco, quel pescatore è anche uno dei principali anelli di connessione con la natura (in questo caso marittima) e la prima sentinella sullo stato dei nostri mari. Non è mica una bazzecola.