la Repubblica, 29 settembre 2024
Ottant’anni fa l’eccidio nazista. Parla Giorgio Diritti
Bologna – «La presenza dei due presidenti è un segnale davvero molto importante, un messaggio di pace vera, in un’Europa che scricchiola, sempre più lontana da quei valori di pace e convivenza civile che nel Dopoguerra hanno guidato la ricostruzione. Un messaggio in controtendenza rispetto a un’Europa dove si tende sempre di più a discriminare, a temere chi è diverso, a chiudersi». Così Giorgio Diritti, il regista de L’uomo che verrà, il pluripremiato film del 2009 dedicato all’eccidio di Marzabotto, avvenuto sull’Appennino bolognese dal 29 settembre al 5 ottobre del 1944, saluta la presenza oggi nei luoghi della strage del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e di quello della Repubblica tedesca Frank-Walter Steinmeier. Un evento simbolico nell’ottantesimo anniversario del massacro in cui 770 civili vennero brutalmente sterminati dalle truppe naziste guidate da Walter Reder.Diritti, cosa ne è oggi della memoria dell’eccidio di Marzabotto?
«Marzabotto è una ferita stridente nella storia dell’umanità. All’epoca decisi di raccontarla perché si era concluso il processo di La Spezia, dopo l’apertura degli “armadi della vergogna”, che riportò alla luce le testimonianze dei sopravvissuti. Mi colpì in particolare che le vittime fossero bambini, persone inermi, innocenti, fui spinto dal desiderio di portare la memoria di quella inutile macelleria nella speranza di far passare il concetto dell’assurdità della guerra. Purtroppo l’attualità dimostra che l’uomo non ha imparato nulla».La commemorazione odierna a Marzabotto sarà la prima senza sopravvissuti. Nel 2024 se ne sono andati gli ultimi testimoni.
«Ed è un problema vero, venendo meno le figure che hanno vissuto quegli eventi la memoria si affievolisce. Gli ultimi ad andarsene sono stati Ferruccio Laffi, Cornelia Paselli, Franco Fontana. Hanno speso la vita per portare la loro testimonianza nelle scuole, nei circoli, nei libri, affinché Marzabotto non si ripetesse. E so con quale dolorosa fatica. Io stesso avevo parlato con loro e so quanto ogni parola risvegliasse in loro un dolore indicibile. Per me erano persone di famiglia, hogirato L’uomo che verrà anche per loro. Tocca a noi oggi. Dobbiamo perseverare per far sì che quella memoria resti integra, soprattutto rispetto a certe leggerezze nella rappresentazione di quanto avvenne».A che cosa si riferisce?
«Non dobbiamo smettere di tramandare la matrice nazifascista di quelle stragi, far sì che la democrazia resti salda. I nostalgici del fascismo ci sono sempre stati, ma si sentivano meno legittimati a esprimere palesemente le proprie opinioni. Oggi lo sono meno e il rischio è che passi una narrazione della storia ambivalente. A preoccuparmi è anche una certa narrazione della guerra, sui social media, in tv, rivolta soprattutto alle giovani generazioni, che la guerra non l’hanno vissuta e sono sottoposte a un bombardamento quotidiano di scene di violenza, bombe, esplosioni,trascurando il prezzo in vite umane. Ci stiamo anestetizzando. E l’idea che tra le prospettive possibili proprio in questi giorni si parli di una guerra nucleare mi pare una follia incredibile».«Tutti noi siamo ciò che ci hanno insegnato ad essere» dice un gerarca nazista a un prete prima di fucilarlo in una delle scene de L’uomo che verrà.
«L’unica strada possibile resta quella di educare le giovani generazioni. Alla memoria e al rispetto della vita umana. Mi ha impressionato in questi giorni, in cui dei giovanissimi si sono macchiati di omicidi, la totale inconsapevolezza rispetto ai gesti compiuti, qualcuno ha affermato che voleva provare l’effetto che faceva. Uno scollamento dalla realtà. Qualcosa di simile di quanto emerse dagli interrogatori durante il processo di La Spezia. Quasi nessun nazista si è pentito apertamente. Ma quella è la guerra, la spersonalizzazione della divisa è assoluta, chi si rifiutava di obbedire veniva passato per le armi. Però c’è lo stesso tipo di spersonalizzazione».