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 2024  settembre 29 Domenica calendario

L’amore tra Proust e il pianista Reynold Hahn

Intorno ai vent’anni Marcel Proust rispondeva a un questionario in inglese posto nell’album d’Antoinette Félix-Faure e indicava quale tratto principale del suo carattere “il bisogno di essere amato”; la sua occupazione preferita: “amare” e questo era il paese in cui avrebbe desiderato vivere: “quello in cui certe cose che io vorrei si realizzassero come per incantesimo – e dove tutte le tenerezze potessero essere condivise”[1].
Fin dai tempi del liceo Condorcet, Proust ha avuto consapevolezza della sua diversità e ha cercato di combattere i propri impulsi omosessuali. Ha scontato le umiliazioni del rifiuto e dell’emarginazione, ma le ha affrontate con coraggio ed autoironia, indelebili tratti distintivi.
Proust desiderava amare altri giovani uomini ma non era un’impresa semplice all’epoca: bisognava evitare l’etichetta di omosessuale. Non dimentichiamo che erano gli anni del processo in Inghilterra a Oscar Wilde che, accusato di “sodomia” aveva ricevuto la condanna di due anni di lavori forzati nel carcere di Reading, dove scrisse uno dei suoi capolavori, l’indimenticabile De ProfundisBenché in Francia l’omosessualità non fosse (più) un reato penale dal 1791, restava comunque un reato sociale, su cui pesavano, inesorabili, l’onta e lo scandalo.  Possiamo solo immaginare quali siano state le lotte e le sofferenze del giovane Marcel per dominare i suoi desideri che gli davano rimorsi di coscienza, in particolare verso l’amatissima madre, e l’impressione di rovinare la sua vita, la parte migliore di sé.
Omosessuale, sensibile, ironico ma intimamente predisposto al senso di colpa, dotato del necessario talento o, per meglio dire, genio, per celare e dissimulare, da un lato, e sublimare nella letteratura quanto era impossibile (o troppo difficile) vivere nella realtà, dall’altro; calato nella Francia dei salons fin de siècle, di mentalità meno ristretta rispetto all’Inghilterra, ma socialmente altrettanto severa: gli ingredienti per una vita e un’opera straordinarie c’erano tutti.
L’omosessualità da un lato e l’asma dall’altro scavarono profondamente l’anima di Proust, ma proprio su quel tessuto dolente e profondo, profondissimo, doveva germogliare la sua cattedrale del tempo, la Recherche, capolavoro monumentale della letteratura del Novecento. Una testimonianza dell’artista che affonda le mani nel fango del vivere in clandestinità. “Si può quasi dire”, com’ebbe ad affermare lo stesso Proust, “che le opere, come i pozzi artesiani, salgono tanto più in alto quanto più profondamente la sofferenza ne ha scavato il cuore”.
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Nel magma dei sentimenti giovanili, il 22 maggio 1894, all’età di ventitré anni, nel salotto parigino di Madeleine Lemaire, Proust incontra il diciannovenne Reynaldo Hahn, compositore, con cui vive per due anni un amore indimenticabile – ricambiato e appassionato – il grande amore della sua vita. Sarà Reynaldo a leggere per primo le bozze del Jean Santeuil e della Recherche. E sarà solo Reynaldo ad avere accesso, con il fratello, Robert Proust, al capezzale di Marcel al 44 di Rue Hamelin, nel novembre 1922.
Nato in Venezuela, a Caracas, il 9 agosto 1874, Reynaldo arriva a Parigi – con la sua numerosa famiglia (è l’ultimo di dieci fratelli) – all’età di tre anni. Figlio di una cattolica venezuelana e di un ebreo tedesco, facoltosissimo imprenditore, Hahn è un enfant prodige del Conservatorio di Parigi.  Dimostra fin da subito un raro talento sia al pianoforte che nel canto, tra i suoi insegnanti si annoverano alcuni tra i più insigni compositori del tempo: Jules Massenet, Charles Gounod e Camille Saint-Saëns. A soli quattordici anni mette in musica le poesie di Paul Verlaine Chansons grises e due anni dopo pubblica l’arrangiamento musicale per la poesia di Victor Hugo Si mes vers avaient des ailes, che ne siglano la fama nei salotti parigini più prestigiosi e in tutta la Francia. Quando Proust lo incontra, Reynaldo ha scritto anche una musica di scena per Alphonse Daudet e L’Île du rêve, un’opera comica tratta da Le Mariage de Loti, che Proust contribuirà a rifinire.
Margiad EvansUn Raggio di OscuritàConsiderato “un piccolo Mozart” nei salons e uno dei migliori studenti in composizione ed esecuzione al pianoforte dai suoi professori al Conservatorio, i compagni e gli amici notano in lui un velo di malinconico pessimismo. Probabilmente era alla ricerca della sua identità e l’ombra che lo attraversava era la medesima di Proust: la sua inconfessata ed inconfessabile omosessualità[2].
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La relazione tra Marcel e Reynaldo nasce dunque in seno alle difficoltà, ma è anche un incontro illuminato dall’arte, una storia di scambio e solidarietà accompagnata da note e parole. “Avendo in comune un’insaziabile e profonda cultura, l’orrore dell’enfasi e la dolorosa serietà della loro apparente frivolezza, Marcel Proust e Reynaldo Hahn erano nati per intendersi”, scrive André Maurois.
“Fu soprattutto Reynaldo ad aiutare Marcel a capire la musica, a raccogliere per lui gli elementi sparsi da cui doveva nascere la petite phrase di Vinteuil. Amici intimissimi, leggevano insieme le grandi opere: Marco Aurelio, i Mémoires d’outre-tombe, e ne gustavano la nobiltà”[3].
Grazie a Reynaldo, Marcel si immerse nel mondo della musica (che avrà un ruolo centrale nella sua opera e nella sua vita), ebbe accesso ad una visione cosmopolita (Reynaldo aveva viaggiato in tutta Europa e parlava diverse lingue), conobbe l’ansia del genio su cui, fin dalla primissima età, erano puntati i riflettori e da cui ci si aspettava il grande capolavoro – un capolavoro che, per ironia della sorte, non arriverà da lui, come pareva legittimo attendersi, bensì da Proust (anche se Reynaldo Hahn ci ha lasciato una notevole opera letteraria e musicale su cui varrebbe la pena soffermarsi).
All’epoca del loro incontro, la situazione di Proust era del tutto diversa da quella di Reynaldo: cagionevole di salute, parlava solo il francese, aveva viaggiato pochissimo e pubblicato solamente Les plaisirs et les jours e alcuni articoli su Le Figaro. Per Marcel, Reynaldo divenne dunque una sorta di periscopio – un cannocchiale potente su mondi sconosciuti e sulla stessa realtà mondana, uno rabdomante di immagini e di sogni, com’ebbe a dire Marthe Bibesco.
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Presto, Proust e Hahn divennero inseparabili: trascorsero l’estate del 1895 nel Castello di Réveillon, ospiti di Madeleine Lemaire e di sua figlia Suzette. Più tardi, Proust confiderà a Céleste Albaret – la governante che lo assisterà come una madre per una decina d’anni ed affronterà con lui la lunga via delle Recherche con i suoi tempi di lavoro notturni – di avere vissuto nel castello di Madame Lemaire dei giorni “incantevoli, tra i più belli della mia giovinezza”[4].
Da Réveillon i due amici si spostarono in Bretagna dove trascorsero il periodo più felice del loro amore, liberi dalla clandestinità, lontani dal giudizio della società – in una sorta di sogno – e pernottarono in un piccolo albergo nel villaggio di pescatori di Beg-Meil, dove Hahn lavorò alla composizione del Breton choral, opera che avrebbe chiamato Là-bas e Proust iniziò ad abbozzare i primi frammenti del suo Jean Santeuil, il lunghissimo romanzo a cui avrebbe lavorato saltuariamente per i successivi cinque anni, fino a scrivere quasi un migliaio di pagine[5].
La storia d’amore con Reynaldo, la più preziosa per Marcel, doveva concludersi nel 1896, tra i morsi della gelosia (che rivivono ne La Prigioniera) e l’infatuazione per Lucien Daudet. Ma, da profondo conoscitore dell’animo umano qual era, Proust sapeva che nessuno avrebbe mai potuto prendere il posto di Hahn nella sua vita: entrambi seppero trasformare nel tempo il loro amore in un’inestimabile e originale amicizia, una fratellanza, nutrita di confidenza, affinità elettiva, ironia, sostegno, trasfusi nelle lettere – quelle salvate dalla distruzione operata dalle rispettive famiglie – dove Proust va via via elaborando un vocabolario nuovo, intimo ed esclusivo, quasi una regressione infantile, dove pone lui e Reynaldo in un comune spazio interiore, in un loro tempo ritrovato.
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La storia tra i due rivive in tutta la sua bellezza nelle pagine della nascita della passione di Swann per Odette e in particolare nell’indimenticabile descrizione della petite phrase della Sonata di Vinteuil:
“Cominciava a rendersi conto di quanto ci fosse di doloroso, fors’anche di segretamente inappagato in fondo alla dolcezza di quella frase, ma non poteva soffrirne. Che importava se gli diceva che l’amore è fragile, il suo era così forte! Scherzava con la tristezza che ne fluiva, la sentiva passare su di sé, ma come una carezza che rendeva più profonda e più dolce la sensazione ch’egli aveva della propria felicità. La faceva suonare dieci, venti volte di seguito a Odette, esigendo che intanto non smettesse di baciarlo”[6].
Quando Swann, nel suo disperato amore per Odette, sente i movimenti della petite phrase de Vinteuil, li paragona all’arrivo mascherato di una dea. Forse anche Proust e Hahn, come Swann e Odette, consideravano quel brano musicale come l’aria immortale del loro amore: quel motivo divenne una costante richiesta di Proust, che chiedeva a Reynaldo di suonarlo ripetutamente.
Anni dopo, quando Proust era morto da tempo, Reynaldo Hahn trascriverà a memoria “la piccola frase” in una lettera al comune amico Henri Bardac, semplificando il tema in fa maggiore del primo movimento della Sonata in re minore di Saint-Saëns. Bardac riferirà poi che “la piccola frase” era colorata di reminiscenze di Franck e Fauré e anche di Wagner[7], confermando le stesse parole di Proust ad Antoine Bibesco alla fine del settembre 1915 sulle opere musicali che avevano “posato” per la sua Sonata[8].
Il significato simbolico del brano gli conferisce uno speciale valore: il tema di Saint-Saëns ne costituisce il riferimento iniziale, l’occasione, la prima pietra di una costruzione, ma è difficile sostenere che la petite phrase sia un pezzo realmente esistente. L’enigmatica melodia nata dall’immaginazione musicale dello scrittore resta un mistero in cui convivono varie contaminazioni musicali. Possiamo soltanto intuirne i tratti essenziali, seguendo alla lettera le indicazioni che Proust stesso ci ha fornito: una proiezione frammentata di qualcosa che nella sua mente possedeva una rara perfezione armonica. Sappiamo però con certezza che, a quel punto, musica e letteratura si erano perfettamente incontrate e intrecciate e dove Reynaldo estraeva il fluido inesauribile della Recherche, Marcel – ormai appropriatosi di un personale gusto e vocabolario musicale – componeva nella mente la colonna sonora delle loro emozioni, traducendo in musica la sua visione del sentimento.
Come non rivedere Proust, con la testa reclinata, ascoltare assorto quel motivo dolceamaro in levare, lasciando finalmente sgorgare tutto il dolore e la bellezza che portava nel cuore? E librarsi sull’opera e sulla vita, nella consapevolezza di un amore immobile – quello per Reynaldo? Un amore immortale, non sottoposto al deterioramento del tempo – una stella fissa dalle asperità di cristallo, una caleidoscopica lanterna magica.
Marilena Garis e Riccardo Peratoner
[1] André Maurois, Alla ricerca di Marcel Proust, Newton Compton, Roma, 1974, p. 53
[2] William Carter, Proust in love, Castelvecchi, Roma, 2007, pp. 54-55
[3] André Maurois, Alla ricerca di Marcel Proust, cit., p. 61
[4] Céleste Albaret, Il signor Proust, Rizzoli, Milano, 1974, p. 189
[5] William Carter, Proust in love, cit., pp. 66-68
[6] Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, La strada di Swann, traduzione di Giovanni Raboni, Mondadori, Meridiani, Milano, 1983, pp. 288-289
[7] Lorenza Foschini nel suo prezioso lavoro dedicato alla straordinaria vicenda umana che per ventotto anni legò Proust e Hahn Il vento attraversa le nostre anime. Marcel Proust e Reynaldo Hahn. Una storia di amore e di amicizia, Mondadori, Milano, 2019, pp. 70-71
[8] Marcel Proust ad Antoine Bibesco, in Le lettere e i giorni: dall’epistolario 1880-1922; ed. italiana a cura di Giancarlo Buzzi; con uno scritto di Giovanni Raboni, Mondadori, Meridiani, Milano, 1996, p. 1135