Corriere della Sera, 29 settembre 2024
Biografia di Hassan Nasrallah
Beirut – «Israele ha superato tutte le linee rosse. Siamo passati a una nuova fase, che ora va oltre il principio del sostegno a Gaza, su tutti i fronti dell’”Asse della Resistenza”; e la portata dell’escalation dipenderà dalla reazione di Tel Aviv». Forse lo sapeva già quando dieci giorni fa per l’ultima volta ha parlato in pubblico dopo l’attacco con i cercapersone. Forse sperava ancora di sfuggire alla morsa d’acciaio che Israele gli stava stringendo intorno. Niente apparizioni fisiche per almeno un decennio e niente telefono, evitati proprio per scampare a un attacco. Ben lontano il 2006 ma anche così vicino quando arringava la folla con frasi ad effetto tipo «Le sorprese che avevo promesso cominceranno ora» poco prima che un missile lanciato da Hezbollah colpisse una nave israeliana. Entrato nel gruppo nel 1982, quando Israele occupò il Sud del Libano, diventato leader nel 1992, a 32 anni, dopo che un razzo israeliano aveva ucciso il suo predecessore, Nasrallah negli anni ha visto la sua barba diventare bianca sotto il turbante nero dei discendenti del Profeta Maometto. Diffidente coi reporter, nel 2002 concesse una rara intervista al New York Times, a condizione che giornalista e fotografo venissero portati bendati nella parte meridionale di Beirut. Meno austero della maggior parte dei religiosi sciiti anche grazie alla sua figura paffuta, nonostante un leggero difetto di pronuncia è stato uno degli oratori più incisivi del mondo arabo, con una solida padronanza dell’arabo classico che condiva con frasi fatte libanesi e riferimenti al ritorno della potenza araba perduta, di fronte a Israele. In oltre trent’anni di leadership Nasrallah è diventato una figura ben nota in tutto il Medio Oriente: la sua immagine è raffigurata sui cartelloni propagandistici, e i suoi lunghi discorsi venivano trasmessi in tv e su mega schermi in molte città. Un leader iconico sicuramente. E un conoscitore della retorica religiosa studiata a Qom, in Iran. Parole capaci di convincere anche il più riottoso degli uomini: inviando i suoi uomini a sostenere Bashar Assad nei massacri degli oppositori, si spinse a dire che «la strada per Gerusalemme» passava per Aleppo, città siriana a 180 chilometri nella direzione opposta alla Città Santa. Una strada, quella del martirio, che forse sapeva già che sarebbe prima o poi toccata anche a lui.