Corriere della Sera, 29 settembre 2024
Nasrallah è morto. Terremoto in Medio Oriente
«Labbayka (ai tuoi ordini) ya Nasrallah!». Sono le 13.30 circa ora locale quando la conferma di Hezbollah che il leader del Partito di Dio è morto cala su Beirut. Da Dahieh parte un lungo singhiozzo, in cielo vengono esplosi i colpi di Ak-47 per glorificare il martirio.
Non è l’ultimo atto di queste ore concitate. Ma un passaggio storico che mette il Libano e il Medio Oriente di fronte a un bivio. Immediatamente, il canale al-Manar vicino al Partito di Dio inizia a trasmettere preghiere e sospende le dirette dai sobborghi sud di Beirut colpiti dalle bombe israeliane mentre piange un’annunciatrice dando la notizia. Il governo proclama tre giorni di lutto a partire da lunedì. In un comunicato viene spiegato che «il maestro della resistenza» si è mosso al fianco del suo Signore come un grande martire e «si è unito alla carovana dei martiri di Karbala».
Dietro le parole c’è lo choc di un Paese intero. Il ministero della Salute libanese aggiorna il bilancio a 11 morti e più di 100 feriti. Nessuna zona a sud di Badaro, il quartiere cristiano di Beirut, viene considerata più sicura. Il confine di Dahieh di fatto segna la linea del fronte e viene di nuovo colpito ieri pomeriggio. Ed è sempre per il quartiere meridionale che l’Idf dirama un altro ordine di evacuazione.
La reazioneMentre il governo libanese convoca una riunione di emergenza – «Siamo in pericolo», dice il primo ministro Najib Mikati rientrato in anticipo da New York – in città vengono dispiegate unità dell’esercito per evitare disordini. Rimbalzano le voci di check-point ai margini del quartiere per impedire agli sfollati sciiti di spostarsi verso nord. Migliaia di persone provenienti da fuori Beirut hanno trascorso la notte dormendo per le strade e nelle spiagge della capitale. «Nessuno ha idea di cosa fare», spiega Hassan che ha trascorso la notte nella centrale piazza dei Martiri. Insieme agli sfollati sciiti, anche tanti siriani che non sanno dove trovare un posto sicuro. «Sono venuto via da Raqqa nel 2014. Avevo cercato di ricostruirmi qualcosa qui a Beirut e ora sono di nuovo senza casa», racconta Ahmed mentre stringe in braccio suo figlio di pochi mesi. La tensione e la disperazione sono palpabili mentre i droni israeliani continuano a ronzare in cielo.
Gli occhi sono puntati su Teheran, dove il leader supremo, l’ayatollah Ali Khamenei, giura vendetta e proclama cinque giorni di lutto, ancora di più che in Libano. Eppure, dietro le dichiarazioni e la solennità, in un clima di sospetto e paranoia, trapelano voci che accusano l’alleato di aver tradito Nasrallah e parlano di un complotto dietro alla fallita trattativa mediata da Francia e Stati Uniti. Ma è difficile trovare il bandolo della matassa, in un Paese attraversato da divisioni e lotte intestine.
Mentre gran parte del Medio Oriente è travolta dall’indignazione per gli attacchi contro Hezbollah e il Libano, c’è chi festeggia. A Tiro, nel Nord del Paese. Ma anche in alcuni villaggi del Sud dove già nelle ore precedenti alla morte del leader parate di Hezbollah sono state assaltate dagli abitanti infuriati per essere stati messi a rischio durante i bombardamenti israeliani contro i depositi di armi. Ma è soprattutto dal Nord della Siria, a Idlib, che si leva il grido di gioia, regione in cui Hezbollah ha avuto un ruolo chiave in alcuni dei capitoli più brutali della guerra civile affiancando il presidente Bashar al-Assad nella repressione degli oppositori. Non tutta la Siria però, perché in quella governativa per Nasrallah vengono proclamati due giorni di lutto, mentre più di 50 mila passano il confine dal Libano in cerca di salvezza, come spiega all’Afp l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi.
Le fratture politicheA differenza del bombardamento di Gaza da parte di Israele, fermamente condannato dalla maggior parte del mondo arabo e spesso descritto come «genocida», gli attacchi contro Hezbollah hanno messo in luce le fratture nel panorama politico della regione. Molte comunità arabe, tra cui alcuni gruppi cristiani e molti membri del mondo musulmano sunnita, sono diffidenti, se non ostili, nei confronti della rete di milizie musulmane sciite sostenute da Teheran. Sentimenti simili sono stati espressi dalla comunità sunnita irachena, amareggiata non solo da quello che considera un trattamento punitivo e repressivo da parte del governo a maggioranza sciita sostenuto dall’Iran, ma anche dal crescente potere delle potenti milizie sciite del loro Paese.
L’aeroporto
A Beirut, mentre gli spari continuano a risuonare nel cielo del primo pomeriggio, gli occhi sono puntati sull’aeroporto. Se le ambasciate tutte – Farnesina compresa – rinnovano gli inviti ai loro concittadini di abbandonare il Paese, le autorità europee raccomandano alle compagnie aeree di evitare gli spazi aerei del Libano e di Israele a causa di «un’intensificazione degli attacchi aerei e del deterioramento della situazione della sicurezza», hanno annunciato. Ma non solo. Dopo che le forze israeliane hanno intimato a Beirut di non consentire l’ingresso di un aereo iraniano, il ministro dei Lavori pubblici e dei Trasporti libanese, che venerdì spiegava al Corriere come fossero in corso trattative per garantire il funzionamento di porto e aeroporto, ha confermato ieri alla Lebanon National News Agency di aver chiesto a un aereo iraniano diretto al Rafik Hariri di Beirut di non entrare nello spazio aereo libanese. L’Iran ha poi annunciato che tutti i voli per la capitale sono stati cancellati dalla sua compagnia aerea nazionale, Iran Air. Stop quindi al collegamento diretto tra l’Iran e Hezbollah, e allo spostamento di funzionari, militanti e denaro, nonché passeggeri civili. Il passaggio via terra attraverso la Siria, principale via di rifornimento di armi a Hezbollah, è compromesso a causa degli attacchi israeliani su strade e ponti. E in serata arriva la notizia che proprio un altro raid israeliano ha colpito vicino all’aeroporto. Segnali che lasciano intendere come la situazione sia tutt’altro che stabile. E che l’assedio dell’Idf sia ben lontano dall’essere finito.