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 2024  settembre 28 Sabato calendario

Intervista a Bombardieri: nuovi reati inutili


L’ufficio del procuratore della Repubblica di Torino, Giovanni Bombardieri, da quando si è insediato, è un viavai di magistrati e investigatori. Appena messo piede nel palazzo di giustizia ha voluto ricordare alcuni magistrati che a Torino sono stati protagonisti: Bruno Caccia, vittima della mafia, e i procuratori Marcello Maddalena, Gian Carlo Caselli e Armando Spataro che lo hanno preceduto.«Magistrati – dice – nel cui solco di duro contrasto alla criminalità organizzata intendo svolgere il mio nuovo incarico».
Nel suo discorso di insediamento ha detto che “è il tempo di denunciare” e di “stare vicino a chi denuncia”. Non è più il momento di girarsi dall’altra parte?
«Era un discorso generale. Certo sono cambiate le condizioni in cui gli imprenditori operano. Pur essendo ancora penetrante il controllo del territorio da parte dei clan, la denuncia è l’unica difesa. Più volte abbiamo sentito nelle intercettazioni esponenti di ’ndrangheta che nell’individuare imprenditori da sottoporre a estorsione affermavano: “Non andiamo da Tizio perché quello ci denuncia subito agli sbirri”. A me è capitato di ascoltare un imprenditore che diceva: “I mei genitori nel passato pronunciavano sottovoce in cucina i nomi degli ’ndranghetisti che gli chiedevano il pizzo. Io quei nomi li faccio a voce alta”. E a Reggio Calabria c’è stato un momento in cui alcuni imprenditori hanno iniziato a denunciare, consentendoci di intervenire: se è successo a Reggio può, deve, verificarsi anche al Nord».
La criminalità organizzata, come hanno dimostrato alcune inchieste, è legata agli amministratori. Ma fino a dove si spinge la collusione dei burocrati e dei politici con i clan?
«Non bisogna generalizzare. Non la politica ma alcuni soggetti della politica tentano la scorciatoia pensando di utilizzare i bacini di voti pilotati dalla criminalità organizzata. Questo è quello che la mia esperienza al Sud mi ha portato a vedere, dove alcuni candidati chiedevano il consenso controllato dai boss senza considerare che ad elezione avvenuta gli stessi ’ndranghetisti presentano il conto. In questo modo viene inquinata la pubblica amministrazione».
Lei ha guidato la procura di Reggio Calabria e ha coordinato tante inchieste sulla ‘ndrangheta. Oggi questa organizzazione influisce ancora nella politica?
«Per la mia esperienza posso dire che si è passati da una criminalità capace di creare soggetti politici dal nulla, e che una volta raggiunto il successo elettorale venivano considerate persone a loro disposizione, a singoli candidati che cercano l’appoggio dei clan per essere eletti».
Politici creati dai clan?
«Oggi non c’è più questa capacità dell’organizzazione di creare il politico senza una storia alle spalle.Però non possiamo fare a meno di rilevare che alcuni soggetti politici tentano la scorciatoia del consenso elettorale che nasce dall’appoggio di famiglie della ’ndrangheta. E badiamo bene: la ’ndrangheta non ha colore. Ci è capitato di sentire ’ndranghetisti che affermavano l’opportunità di appoggiare candidati dell’uno o dell’altro schieramento, per non rimanere poi spiazzati a elezione avvenuta».
La corruzione è l’arma delle mafie?
«La criminalità organizzata ha più interesse a corrompere che a usare mezzi violenti. Il ricorso all’intimidazione è più rischioso. E accertare la corruzione è difficile».
Quali norme vanno rafforzate o modificate per combattere meglio le infiltrazioni criminali?
«Alcuni reati spia della corruzione sono venuti meno, come l’abuso d’ufficio, che a volte poteva nascondere una vicenda di corruttela di cui non si riusciva a provare il passaggio di denaro. Senza queste norme, è più complicato provare il passaggio di somme nascoste dietro il semplice abuso che è invece una corruzione».
C’è una zona grigia?
«C’è una commistione fra economia, soggetti politici, organizzazionicriminali, e non bisogna pensare alla ’ndrangheta che spara, ma a veri e propri centri di potere che manovrano appalti o concessioni.Una zona grigia manovrata, a volte, da uomini della ’ndrangheta, i cui affari non sono basati solo sui traffici internazionali di cocaina e sulle estorsioni, ma su vere e proprie infiltrazioni nell’economia legale.Attraverso prestanomi, fisici e societari, esponenti della criminalità organizzata si presentano con una“faccia pulita”, senza suscitare allarmi negli interlocutori economici, sociali e politici».
L’economia criminale crea consenso sociale e una condivisione di interessi che, in certi casi, rende evanescente il confine tra crimine e società civile. Come impedirlo?
«Più ci si allontana dall’origine del fenomeno finanziario, più diventa difficile questa distinzione fra economia legale e illegale. Per questo il riciclaggio di flussi finanziari illeciti dev’essere aggredito fin dall’inizio. È evidente come organizzazioni criminali che, anche attraverso prestanomi, gestiscono aziende, creano posti di lavoro, immettono flussi finanziari, specialmente in momenti di difficoltà economica, non vengano percepite nella reale pericolosità per l’economia legale. E non sempre è stata la ’ndrangheta ad avvicinare gli imprenditori per imporre il pizzo nelle sue varie forme (denaro, assunzioni, forniture), ma ci sono stati e ci sono imprenditori che si rivolgono alla ’ndrangheta per interessi propri, finanziari ad esempio, legati al recupero dei crediti o allo smaltimento illegale di rifiuti. Non è vero che tutti gli imprenditori sono vittime dei clan. Bisogna distinguere chi è oppresso da chi è meno onesto».
L’incremento delle tecnologie ha dato più strumenti ai criminali per spostare capitali illeciti?
«I clan si servono della tecnologia più avanzata. E per questo sono importanti le norme sul cybercrime che attribuiscono nuove competenze alla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo nel coordinare le inchieste a livello nazionale ed internazionale. Perché la ’ndrangheta si serve di professionisti, reclutati anche all’estero, su cui investe per gli affari (ad esempio flussi finanziari che vengono movimentati senza lasciare traccia) e per essere all’avanguardia e sfuggire ai controlli degli investigatori».
Nelle carceri si registrano molti suicidi. E inchieste hanno messo in luce la violenza usata contro alcuni detenuti.
«Ci sono istituti penitenziari che come spesso viene denunciato hanno pochissimo personale di polizia penitenziaria; è insufficiente il personale destinato alla rieducazione. Tutto questo evidentemente non consente un’adeguata gestione del mondo penitenziario, e questa mancanza può portare in alcuni casi anche a episodi di violenza. C’è la necessità di una revisione complessiva».
Aumentano i reati e aumentano le pene nel nuovo ddl sicurezza. C’è una stretta alle libertà personali?
«Da una parte si invocano e vengono adottati provvedimenti che si dicono ispirati al garantismo, ad esempio le norme in materia di custodia cautelare, come l’interrogatorio preventivo, il giudice collegiale, in materia di intercettazioni; dall’altra, invece, si invocano, e si va verso forme di maggiore restrizione della libertà personale. Il problema in realtà va affrontato complessivamente sia sotto il profilo delle garanzie dei singoli che sotto il profilo del dovere dello Stato di tutelare l’ordine pubblico, la collettività ed il singolo individuo. A volte assistiamo a norme che vedono la luce a seguito di fenomeni criminali efferati, che nascono dall’emotività del momento, e magari si attacca il giudice che, applicando la legge, non ha adottato quella misura cautelare che tutti i cittadini hanno ritenuto “giusta” in quell’occasione. La restrizione della libertà personale non può dipendere dall’emotività del momento che può condurre a norme più restrittive, e, passato quello, a norme più permissive»