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 2024  settembre 28 Sabato calendario

Il nuovo premier del Giappone (che si veste da Majin Bu)

Apparentemente nel curriculum di Shigeru Ishiba, il nuovo presidente del Partito Liberal Democratico (LDP) e quindi prossimo primo ministro giapponese, non c’è nulla che faccia pensare che la sua elezione rappresenti qualcosa di rivoluzionario. Nato a Tokyo nel 1957 ma cresciuto nella prefettura di Tottori, dove la famiglia si era trasferita dopo l’elezione a governatore del padre Jiro, Ishiba entra in politica nell’81 su consiglio dell’ex primo ministro Kakuei Tanaka. La strada era spianata. Nel ‘96, a soli 29 anni, viene eletto alla Camera, mentre nel 2000 diventa viceministro all’Agricoltura del governo Mori. Nell’ordine poi sarà direttore generale dell’Agenzia di difesa giapponese, ministro della Difesa, ministro dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca, ministro per le Zone Speciali Strategiche Nazionali e ministro per il declino demografico e la rivitalizzazione dell’economia locale. Nel 2012 prova la prima scalata alla presidenza del partito, ma viene sconfitto da Shinzo Abe. Lo stesso anno diventa comunque segretario del partito e da quella posizione per altre 4 volte riprova la scalata al vertice. L’ultima è quella buona.

IMPERMEABILE AGLI SCANDALI
Stando a questi sommari passaggi, se si dovesse dare una definizione di vecchio arnese della politica giapponese si dovrebbe prendere Ishiba da plastico esempio. Eppure il prossimo primo ministro deve la sua popolarità nel Paese proprio al fatto che rispetto a molti dei suoi predecessori risulta essere perfino fuori dagli schemi. Politico serio e preparato, Ishiba, con quella sua faccia da gattone soriano, è uno che non si risparmia, anche a costo di apparire ridicolo. Basterebbe quella foto diventata improvvisamente virale di lui travestito da Majin Bu, un personaggio di Dragon Ball, all’inaugurazione di una mostra di figurine, per farsene una idea. Ma è più che altro politicamente che Shigeru è un outsider. La sua abilità è stata quella di riuscire ad apparire completamente estraneo agli scandali che hanno colpito le correnti liberaldemocratiche negli ultimi mesi pur es
sendo il leader di una di esse, la Suigetsukai. Insomma con quel sistema di tangenti ricavate dalla vendita di biglietti degli eventi organizzati in particolare dalla fazione Seiwaken, ma anche dalle altre 4, lui non ha niente a che fare, anche se ha sempre difeso, e non potrebbe essere altrimenti, il cosiddetto sistema dell’habatsu: «Sarebbe bello se ci fossero fazioni che potessero decidere cose tipo quale dovrebbe essere la politica economica o la politica di difesa, ma ora pensano solo a soldi e posizioni».

NEMICO DI SHINZO ABE
Secondo lui il declino è iniziato proprio con Abe, il rivale di sempre. Dell’ex premier assassinato nel 2002 Ishiba contestava in particolare la politica economica, ritenendo che i due pilastri dell’Abenomics ancora in auge nel partito, tassi di interessi quasi a zero e aliquote fiscali basse, siano la causa della situazione attuale del Giappone. «Dovremmo aumentare l’aliquota d’imposta sulle società», ha detto Ishiba in un’intervista, «se non aumentiamo immediatamente il tasso di interesse, non ci sarà fine allo yen debole. Se non creiamo le condizioni in cui il matrimonio sia economicamente sostenibile, non ci sarà modo di fermare la diminuzione della popolazione e in 20 anni non ci sarà alcuna ripresa demografica».
Ma se le sue posizioni economiche possono essere considerate quasi di sinistra, in materia di difesa le sue idee sono di estrema destra. Mentre Abe voleva la semplice riforma dell’art. 9, quello che impedisce al Paese di mantenere della forze armate se non per necessità di stringente difesa, Ishiba ne vuole la cancellazione completa: «Finché questa clausola sarà in vigore, le politiche di sicurezza del Giappone non saranno mai allineate con la ragione». Anche sull’alleanza con gli Usa Ishiba va oltre. Non la mette certamente in dubbio, anzi la rilancia in chiave “Nato del Pacifico”, ma secondo lui «Tokyo deve pensare da sé a come schierare le forze americane in Giappone, e non semplicemente considerare come un dovere consentire agli americani di mettere basi ovunque in Giappone desideri».