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 2024  settembre 27 Venerdì calendario

La sceneggiatura di "Prima della rivoluzione"

 Il testo seguente riproduce il dattiloscritto della sceneggiatura originale, dal carattere ancora provvisorio, che si discosta dalla sceneggiatura desumibile dal film effettivamente realizzato. Diversi sono i dialoghi, già in parte corretti a mano con tagli e aggiunte; diverso è l’ordine delle scene. Ciò che accadde sul set e che diede come esito il film così come lo conosciamo fu il frutto della collaborazione di Bernardo Bertolucci con Gianni Amico, aiuto regista e coautore dei dialoghi, e con Roberto Perpignani, autore del montaggio.
I sepolcri, i drappi, le piante, i fiori attorno ai sepolcri. La visita dispari alle chiese della città: San Rocco, San Vitale, San Giuseppe, la Steccata, Santa Croce, ecc. Gran confusione di gente che entra ed esce, figure che incontreremo ancora all’opera, o magari a un funerale.
Tutta la borghesia della città nelle chiese, a visita re Cristo morto. Ecco per la prima volta Fabrizio. Il suo PPP un volto per un attimo anonimo, poi prendono vita gli occhi ancora ingenui dei ventitré anni, poi il profilo intelligente, rigoroso.
Quando la FI lo scoprirà tutto, sembrerà armonioso nei suoi uno e ottantatré, per i suoi fianchi stretti, per le sue lunghe braccia e mani abbandonate. Fabrizio osserva tutti quelli che entrano nelle chiese. È in ogni chiesa, di lato alla navata centrale, o accanto all’acquasantiera e sorveglia l’ingresso. Molti non lo vedono neppure, qualcuno lo saluta. È la sua voce che si sente fin dall’inizio: pacata e severa, mai umile, mai ironica.
Fabrizio (fuori campo). Si sente che gli piace questo mondo in cui vivono, che gli piace essere testimoni della propria esistenza. Si stanno a guardare, con discrezione, con allegria, con malinconia. Senza complessi, senza il complesso d’inferiorità che hanno i provinciali, dentro di loro c’è una gran pace e nessuna tentazione, nessuna velleità. Sono eleganti, e capaci di fare cose orribili. Al momento giusto, tutti gli anni, entrano nelle chiese in piccoli gruppi, e non si ricordano neppure che l’anno prima, con la stessa luce, con le stesse coscienze inumi dite dalla commozione, sono entrati nelle stesse chiese, ed erano già morti. Non vogliono sapere, e sono umili in questo, non tentano neanche di nasconderlo, di fare finta. Riescono ad appartarsi, e la loro solitudine è offesa soltanto dai figli che non studiano, o che studiano troppo, dal mal di fegato se hanno mangiato troppo, dalle mode che cambiano spesso, dalle stagioni. La loro coscienza non vuole capire, eppure hanno la realtà sotto gli occhi, e loro, gli attori, si rifiutano alla realtà dei loro personaggi, della loro scena, ecco: io vedo delle figure fuori della storia, remote, prive del sentimento vero che possiede chi è dentro la storia, figure in cui preesiste solo la Chiesa, in cui il Cattolicesimo ha soffocato ogni oscuro desiderio di libertà. Nel silenzio senza speranza della borghesia, io, ferocemente, vorrei urlare, per tutti quelli in cui la passione civile si è tra sformata in vile desiderio di quiete, urlerei per i miei cari amici, per i loro corpi senza erezioni come per le loro mete usurpate. Mi viene in mente se sono mai nati, se il presente risuona dentro di loro, ossesso, come in me risuona e non può consumarsi. Mi chiedo qual è la loro speranza, dov’è la loro fiducia, cos’è la loro pietà. Per questo, per un disperato e impuro ultimo atto d’amore, ho girato per le chiese alla ricerca di Clelia, l’ho trovata e l’ho guardata per l’ultima volta. Dopo il seguito, assolutamente muto, di sepolcri, di profili, nuche, schiene, borghesi, dopo la fiera dei fedeli il grande spazio romanico del Duomo. E tocca di nuovo a Fabrizio. Lontanissima, dal fondo marrone e dorato della navata, Clelia avanza tra il padre e la madre. Subito in PPP. Su di lei, i volti dei suoi appaiono di rado e indistinti ai margini. Clelia: una nuvola color miele sui capelli e sulle guance, le linee del manierismo emiliano, il segno del Parmigianino. Avanza uguale solo a se stessa, lucida, sorda. Fabrizio quasi trattiene il respiro. La figura di Clelia, mentre sposta il grande rettangolo di cuoio all’ingresso del Duomo, è ferita dalla luce della piazza: è di una purezza che vien voglia di turbare.
Scena 2. Strade di Parma. Lungofiume. Giardino pubblico. Periferia. Accanto a Fabrizio cammina Agostino: un biondino più giovane di Fabrizio, che si tira dietro una bicicletta nera e verde. Agostino ascolta senza mai interrompere l’amico, non ne udremo la voce per tutta la passeggiata. Vanno nella luce pomeridiana d’aprile, intorno a loro una città dai profili precisi, come per pioggia recente.
Fabrizio. Hai visto come sono venuto giù dal pero? È stato facile però̀. Sai va bene, Clelia sull’erba, Clelia al cinema, Clelia al telefono, Clelia a ballare, Clelia in chiesa, Clelia d’estate. Andavo sempre a sbattere contro di lei, felice.
Ma perché anche Clelia muta, Clelia sorda, Clelia intollerabile. Davanti a Clelia diventavo un altro: una specie di piccolo esteta di provincia.
Poi, con un salto nel tono della voce:
Fabrizio. C’è un poeta che mette vicino il suo estetismo al sottoproletariato romano. (...)
Attraversano e si vanno a fermare di fronte a un negozietto, un vero buco dove le pareti son fatte di libri. C’è sulla porta una lunga targa sbiadita: “Libreria universitaria”. Fabrizio dal marciapiede cerca di frugare con gli occhi nella penombra dell’interno. Viene sulla soglia un uomo anziano, magrissimo, vestito di nero. Al posto della cravatta ha un grande fiocco con le punte che pendono all’ingiù, senza colore, ormai per gli anni.
Fabrizio. Buongiorno, signor Belledi, Giorgio è fuori? L’uomo si sporge a guardare verso il fon do della strada.
Libraio. Dovrebbe essere qui a minuti. Voleva qualcosa, signor Fabrizio?
Fabrizio. Solo salutarlo. Glielo dica che son passato.
Allora il vecchio tira da una parte Fabrizio, gli parla sottovoce, con gli occhietti stretti, e intanto indica Agostino.
Libraio. Quel signore lì non è mica il signor Bertoli?
Fabrizio (finto complice). Sì, è lui, è proprio Bertoli…
Libraio. Sa, io non m’interesso degli affari degli altri…
Il vecchio si lascia scappare uno sguardo su Agostino che se ne sta tutto solo da una parte con la sua bicicletta.
Libraio. … ma siccome che conoscevo i suoi… Dica, è vero che è scappato di casa e che è stato via quindici giorni?
Fabrizio (gravemente). Eh sì…
Libraio. È vero che beve molto… Come si fa… così giovane!
Fabrizio (ancora più gravemente). Neanche vent’anni compiuti. Il libraio vede oltre Fabrizio la bicicletta del figlio sbucare da un vicoletto.
Libraio. Ecco Giorgio che arriva. Io torno dentro. Lancia un’ultima occhiata ad Agostino.
Libraio. E pensare che i suoi son così brave persone… E torna a rintanarsi nella botteguccia. Giorgio si accosta con la bici a Fabrizio. Ha un viso simpatico, padano, con gli oc chi in fondo a due lenti senza fondo.
Giorgio. Come stai Saint-Just? Sarà quindici giorni che non mi vieni a trovare!
Fabrizio vede Agostino abbandonato da una parte. Lo chiama lì con un gesto.
Fabrizio. Conosci Agostino? I due si danno la mano.
Giorgio. Ho saputo che hai piantato lì con Clelia. Mi dispiace.
Fabrizio taglia corto.
Fabrizio. A me no! Ne parleremo un’altra volta. Adesso dobbiamo salutarci. Passo una di queste sere. Prima che chiudi, così torniamo in centro assieme.
Giorgio. Ti aspetto. Ciao.
Dissolvenza.