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 2024  settembre 27 Venerdì calendario

Intervista a Ilaria Capua tra laboratorio e palco


È rientrata in Italia, «perché ho fatto pace con il mio Paese dopo un brutto periodo in cui la mia reputazione era stata ingiustamente distrutta». Ha scelto Bologna perché «nella vita matrimoniale bisogna fare delle scelte mediate e io ho un marito ciclista: avevo pensato a Milano però per lui che adora la bici da strada non era l’ideale». È stata una bambina «che faceva esperimenti scientifici, alcuni un po’ strani e i miei familiari erano un po’ schifati», una studentessa universitaria che ha scelto veterinaria per motivi insospettabili di cui diremo poi. Ancora: è una mamma che, al telefono, si è sentita dire dalla scuola di sua figlia in Florida che «l’istituto era in lockdown per un uomo armato nell’edificio e i bambini erano al riparo negli armadi». È una ricercatrice appassionata e determinata: tutto il mondo ce la invidia.
Ilaria Capua è questo e altro ancora. Adesso diventa anche un po’ attrice. Missione: portare la scienza a teatro, «perché la scienza da sola non basta: se gli scienziati si parlano solo tra loro non vanno da nessuna parte».
Detto da lei che di scienza vive fa un po’ strano.
«Lezione emersa con il Covid: la scienza deve condividere scoperte, percorsi, anche incertezze sia con la popolazione che con i decisori. Ho sentito questa responsabilità: cercare un linguaggio per arrivare al pubblico di non addetti ai lavori. Solo con la consapevolezza si agevolano comportamenti corretti». Dunque eccola: con «Le parole della salute circolare» domenica sarà al Teatro Parenti.
Romana, da un paio d’anni appunto di casa a Bologna, cittadina del mondo in senso letterale – direttrice emerita del centro One Health in Florida, oggi Senior Fellow in Global Health alla John Hopkins University Sais Europe – ha 58 anni.
A proposito di parole: una che descrive Milano oggi?
«Due: coraggio e lungimiranza. Per cercare la salute servono scelte coraggiose».
Allude alle misure per l’inquinamento?
«Ciò che sta nell’aria sopra Milano non è colpa di Cina e India – anche se a molti fa comodo dire così e non far nulla – quindi è a Milano che bisogna intervenire. Farlo implica lungimiranza».
Lei è tra gli scienziati più influenti al mondo, eppure si presenta come «veterinaria del servizio pubblico».
«Perché lo sono, medico veterinario. Per trent’anni ho lavorato nel Sistema sanitario nazionale, negli Istituti Zooprofilattici».
Come ha scelto la facoltà?
«Avevo due obiettivi. Uno: studiare qualcosa che avesse a che fare con la scienza. Due: lasciare Roma».
A Roma ci è nata.
«Volevo allontanarmi da una situazione familiare complicata, l’unica facoltà scientifica non presente in città era veterinaria. Dunque, eccomi. Destinazione Perugia, grazie all’aiuto di mia mamma, Maria Grazia. Lì tra l’altro era nata, perché mio nonno, Mario Bandini aveva insegnato economia e politica agraria».
Per il resto la sua è una famiglia di avvocati.
«Mio padre Carlo, specializzato in diritto del lavoro e civile, avrebbe voluto che studiassi Legge. Mio fratello è avvocato. Io no: già da piccola facevo esperimenti “osservazionali”. Ne ricordo uno con i vasetti degli omogeneizzati di mio fratello, che ha sette anni meno di me. Li ho riempiti di alcol e ci ho messo gli organi dei polli che mi ero fatta tenere via dal macellaio. Ero orgogliosissima dell’esperimento, a casa tutti un po’ schifati...».
Suo marito è scienziato?
«No, no. Richard (Currie, ndr), detto Rich, ha una formazione scientifica ma è in un altro settore».
È vero che è stata folgorata dalle sue scarpe?
«Vero! L’ho raccontato in un libro (I virus non aspettano, Marsilio 2012). Era il 2002, dovevo partire in aereo da Venezia a Brema. Ciondolavo per lo scalo con trolley e occhi bassi, quando vedo queste scarpe magnifiche. Mi dico: wow. E alzo lo sguardo. Un paio di Church’s marroni che anche oggi gli vieto di buttare. Abbiamo iniziato a chiacchierare».
Avete una figlia, Mia, a cui si dice sia dovuta la decisione di rientrare in Italia.
«Ha 20 anni e ha frequentato le scuole in Florida, dove si è presa grossi spaventi. Quando era in prima media mi chiamano: c’è un uomo armato fuori dalla scuola. Pensavo di morire. La circolazione delle armi in Florida è diventata un problema. Alla fine lei ha detto: voglio fare l’università in Europa. Dopo di lei siamo tornati noi».
È nata a Roma, ha studiato a Perugia, vissuto a Teramo, Padova, negli Stati Uniti. Mai pensato a Milano?
«Era in ballottaggio con Bologna. Però mio marito ama la bici da strada e Bologna è un luogo ideale per i ciclisti grazie ai colli. Milano è meno bici friendly, ed è diventata carissima: io per 30 anni sono stata servitrice dello Stato, con stipendio buono ma non stratosferico e mettere da parte qualcosa non era così facile».
I no vax la tormentano ancora?
«Sì. Minacce di morte e insulti a sfondo sessuale».
Ha denunciato?
«Significherebbe dedicare a questi personaggi tempo ed energie che a me servono per altro. Li silenzio e fine».