Libero, 26 settembre 2024
Guareschi si oppose alla Loren in un film di Don Camillo
Settant’anni fa, all’epoca della redazione della sceneggiatura per il film Don Camillo e l’onorevole Peppone, Sophia Loren, oggi novantenne, di anni ne aveva venti o poco più. Vi chiederete cosa c’entra la Loren con don Camillo e il terzo film della serie ispirata al Mondo piccolo guareschiano. C’entra eccome, perché proprio sul finire del 1954, il regista Carmine Gallone, dopo aver analizzato il trattamento del film, propone agli sceneggiatori italo-francesi di inserire una figura femminile di cui descrive l’arrivo o, meglio il ritorno al paese: «(…) un bel pezzo di ragazza (diciamo indicativamente Sophia Loren) piomba a Brescello, cacciata da Milano dalla Questura. Era una del paese, ma allora non era così “bbona”…». Ma Giovannino Guareschi, irritato, manco a dirlo, dallo stravolgimento operato nei confronti della sua sceneggiatura, faticosamente e clandestinamente uscita dal carcere di Parma, dove scontava la condanna per diffamazione nei confronti di Alcide De Gasperi, non ci sta e scrive al commendator Rizzoli. «(…) Non permetterò mai che la vicenda si trasformi in una farsa grossolana con don Camillo in mutande (scena che però verrà utilizzata nel quarto film, ndr) (…) e con Sophia Loren che va a Brescello a mostrare le sue gambe (Guareschi, a matita, ha aggiunto al dattiloscritto “pregevoli”, ndr) a Peppone».
Ora, occorre tenere presente che per Giovannino Sophia Loren era qualcosa di più che una pur bellissima e bravissima attrice: a chi gli chiedeva quali fossero le tre donne più belle del mondo, Guareschi rispondeva «Sophia Loren di fronte, Sophia Loren di profilo e Sophia Loren di spalle». Così, tramite Alessandro Minardi, Guareschi riesce a convincere regista e produttore a cambiare l’attrice. La scelta cadrà su Claude Sylvain, più vicina a quanto desiderava l’autore e decisamente diversa dalla Loren, anche perché francese!
Sta di fatto, però, che la giovane Claude fatichi ben poco ad affascinare tutti, sul set. Alessandro Minardi scrive a Giovannino: «A Brescello sono tutti caricatissimi; la lavorazione procede bene e con grandissima cura da parte di tutti. Con i tuoi ultimi ritocchi tutto è a posto. Abbiamo assistito al “si gira” della scena del pollaio. Fernandel è sempre perfetto. C’è un “Ful” (il cane di don Camillo, ndr) che è una semplice cannonata, «Lassie» può andare a nascondersi... La “Cleonilde” non ti dico! Bella, giovane, nostrana, simpatica». Una scelta in parte forzata ma, alla fin fine, guareschiana, come racconta Alberto Guareschi nel suo Caro Nino ti scrivo, Giovannino Guareschi in carcere: «In effetti la produzione, scegliendo l’attrice francese Claude Sylvain, ha tenuto conto delle precise “indicazioni” di mio padre sulla scelta dell’interprete: “Mi raccomando la Cleonilde (ogni riferimento a Nilde Jotti è puramente voluto ma nel film, prudentemente, il nome verrà cambiato in Clotilde). Non deve essere né sofisticata né una donna fatale. Deve essere un tipo emiliano, belloccia, decisamente formosa, non contadina, ma semplice e piena di naturale vivacità. Badare che la Cleonilde è importante. E la bellezza, per conto mio, è soprattutto questione di ‘quantità’...”. A questo punto viene in chiaro la faccenda del famoso “mobiletto impiallacciato in nero” che mio padre, in una sua lettera alla “Vedova Provvisoria” (così Guareschi chiamava affettuosamente la moglie Ennia-Margherita nelle lettere dal carcere), suggerisce di inserire nell’arredamento della sua nuova camera da letto delle Roncole: “La camera è stupenda. Unico difetto è il comodino: un comodino solo guasta l’armonia: io lascerei il comodino così come sta e dall’altra parte – per fare ‘pendant’ – metterei il tipo di mobiletto di cui ti mando la fotografia: (il primo, quello impiallacciato in nero). Non dovrebbe stare male. Comunque vedi tu. E, nella busta infila una foto di scena di Claude Sylvain fasciata in un aderente abito nero... (nella foto). Mia madre sta allo scherzo, ma non troppo, e non molla l’osso ricordando, en passant, il famoso “mobiletto impiallacciato di nero”».
10 maggio 1955: «Sono contenta che la tua stanzetta sia di tuo gradimento. Se credi che un comodino sia poco ti porto immediatamente l’altro gemello perché il paralume nero di cui ho qui il campione dovrà passare sul corpo della Contessa, caro il mio bel fico!». E ancora il 17 maggio, dopo una visita a Brescello: «Quando sono andata al caffè dove andavamo noi al ristorante, si è sparsa la voce che la moglie di Guareschi era in piazza; sono stata circondata da moltissime persone, mi sentivo molto Lollobrigida, mi sono commossa e ho pensato a te, chissà. Ho visto il tuo comodino alla luce del sole, è veramente una bella figliola». Tanto è arguto e pungente nel “comodino” sottinteso Giovannino, altrettanto è spiritosa e brillante Margherita nelle sue lettere. Il “mobiletto impiallacciato di nero” (unico esempio di “tipo emiliano francese”), poi, come nel film, se ne tornerà alla base, come alla “sua” base tornerà il “libero vigilato” Guareschi che dal carcere di San Francesco a Parma tornerà alle Roncole, per scontare gli ultimi sei mesi…