La Stampa, 26 settembre 2024
Storia del miliardario che aiuta gli ucraini
PAVLOGRAD (Ucraina)
Amed arriva all’appuntamento poco dopo mezzogiorno, il sorriso del fare e il cronico entusiasmo fanno a pugni con la stanchezza lenita solo da qualche ora di sonno. «Ieri – dice – siamo stati coi “ragazzi degli Himars” sino a tarda sera». I “ragazzi degli Himars” sono i militari delle unità delle forze armate ucraine che si occupano del funzionamento di questi sistemi d’arma divenuti centrali non solo sui fronti di battaglia, come qui in Donbass, ma anche nel dibattito tra gli alti vertici politici e militari di Kiev e degli Alleati occidentali. Amed invece è Amed Khan, filantropo attivo nei teatri bellici e nelle aree di crisi, oggi principale sostenitore privato della causa ucraina.Il suo motto è «dai calzini ai generatori», qualsiasi cosa serva, a militari e civili ucraini, la sua Fondazione provvede a fornirla. «Faccio tutto da solo, a volte qualche amico partecipa a iniziative – chiosa –, ma sono incline a non chiedere nulla a nessuno, intervengo in maniera diretta, senza seguire complicati protocolli, lavoro sulla velocità degli approvvigionamenti».Amed va oltre gli esseri umani, talvolta si occupa di animali, come Jack il pastore tedesco che ha resistito all’occupazione russa nell’Oblast di Kharkiv, asserragliato in un sottoscala. «Quando lo abbiamo trovato era depresso, malnutrito, spaventato, aveva trascorso troppo tempo sotto i bombardamenti», dice il filantropo che si è preso carico dell’animale sino a quando a chiederne l’affidamento è stato l’amico Amos Bocelli (figlio di Andrea). Come sta Jack? «Ci ha lasciato, era già su con l’età, ma almeno ha vissuto i suoi ultimi anni come si deve, davanti al mare, nella tenuta di Forte dei Marmi del Maestro».Il suo legame con l’Ucraina ha radici più profonde del conflitto in corso. Khan collabora col governo degli Stati Uniti dagli anni Novanta, lavora nei campi dei rifugiati in Ruanda, poi con l’allora presidente Bill Clinton ancora in Africa, e, successivamente, con la Fondazione Clinton in altre zone disagiate. Vira quindi in finanza per raccogliere fondi e crea la sua attività filantropica, da lì inizia un nuovo percorso sui fronti caldi del Pianeta. «Sono stato in Iraq, Siria, Somalia, ho accolto rifugiati, costruito case per loro – racconta –, ho organizzato l’evacuazione degli afghani nel 2021 con sei voli charter miei, subito dopo l’arrivo dei talebani». La sua frequentazione dell’Ucraina inizia dal 2005, vanta l’amicizia con Vitali Klitschko, il «sindaco-pugile» di Kiev. Ed è con l’ufficio del presidente Volodymyr Zelensky che ad agosto del 2021 organizza l’evacuazione degli afghani collaborando con le forze speciali ucraine. Nei mesi successivi rimane in contatto con le autorità di Kiev fungendo da collegamento ufficioso con alcuni ambienti dell’amministrazione americana in merito a tematiche umanitarie. «Il 24 febbraio scoppia la guerra – racconta – eravamo preparati e avevamo già predisposto misure preventive per evacuare diverse persone dal Paese, in particolare amici e personalità di rilievo».Da quel momento il suo impegno diventa incessante. «Ormai trascorro molto più tempo qui che a casa mia a New York, ma a me piace così. C’è chi ha lo yacht, l’elicottero, vetture di lusso e magioni in giro per il mondo, io ho le missioni, crisi umanitarie o zone di guerra, cerco di esserci sempre –, dice col ghigno di che esorcizza sacrificio e fatica –. È tanto lavoro ma anche tanta gioia», come quando una grande casa-famiglia femminile di ragazzine dai 7 ai 17 anni viene distrutta da un missile russo. «Sarebbero state tutte separate, date in affidamento ad altre strutture nel Paese o fuori, per loro significava essere strappate da quella che era diventata la loro casa e la loro famiglia». Khan decide di provvedere alla ricostruzione della struttura, ottiene i permessi, porta i materiali e grazie al lavoro di volontari e professionisti ridona luce alla struttura. «Le responsabili mi mandano costantemente i video di bimbe e ragazze che studiano e giocano, prima o poi farò loro una sorpresa».Più in su con l’età sono invece i “ragazzi degli Himars” che Amed sostiene fornendo loro vettovagliamento, ma anche mezzi per muoversi e provvedere alla loro esigenze più immediate. Il buon samaritano del Donbass ha persino provveduto a prendersi cura della moglie e del figlio del soldato Artem. «Il bimbo, Damir, ha bisogno di sostengo particolare, così ho fatto avere loro il visto, la mamma, Oksana, lavora per la mia organizzazione e il ragazzino va a scuola e fa sport seguito con tutte le attenzioni del caso». Ad oggi le attività di Khan si concentrano in questa parte di Ucraina, tra la Pokrovsk che i russi tentando di aggirare avanzando dal fianco sud-est, mentre si incuneano verso la strada che collega Myrnograd a Kramatorsk. Città chiave della regione di Donetsk presa di mira ieri dai bombardamenti delle forze di Vladimir Putin che hanno causato due morti e 15 feriti.«Il problema – dice – sono le armi a lungo raggio, ci sono postazioni al di là del confine che supportano le operazioni militari di Mosca in questa regione, come le basi da cui partono i cacciabombardieri con le bombe plananti (Fab). Per neutralizzarle c’è bisogno di quelle armi e di utilizzarle a lunga gittata». Quando si parla di politica, il “buon samaritano” diventa agguerrito: «Gli Stati Uniti non vogliono che l’Ucraina perda, ma nemmeno che vinca, è una constatazione, hanno calibrato tutte le forniture, non vogliono nemmeno che collassi la Russia, vogliono mantenere lo status quo». Ancor più impietoso è quando si parla di elezioni americane. Cosa si aspetta? «La politica estera dell’establishment è fatta da sapientoni delle Ivy League che non hanno esperienza di come va il mondo. Non mi aspetto nulla quindi, comunque vada il 5 novembre». —